Niko: “la mia esperienza di ghosting in musica” – INTERVISTA

Niko
Un telefono che non squilla più. Un messaggio letto a cui non è seguita risposta. Un’assenza che si fa presenza costante. Chi è rimasto, prima o poi, ha provato a mettere in fila gli indizi. Cosa ho detto di sbagliato? Cosa ho fatto? Quando è cambiato tutto? Spesso, però, non c’è un momento preciso. Solo un filo che si spezza e svanisce, lasciando dall’altra parte qualcuno che ancora stringe l’estremità. “Anime Perse” (INDACO/Altafonte Italia/ Needa Records), il nuovo singolo di Niko, è il racconto di un’esperienza generazionale: il vuoto lasciato da chi scompare senza voltarsi mai indietro. Il testo è essenziale, senza concessioni alla retorica. Parla di chi resta con il dubbio, di chi cerca un senso nell’assenza.
Niko, al secolo Nicola Lattanzio, è un cantautore e polistrumentista italiano nato a Rieti che cresce con la musica come compagna costante. A soli dodici anni entra a far parte del coro Giovanni Pascoli della sua città, dove suona la chitarra e inizia ad esibirsi pubblicamente. Nel 2000 intraprende un percorso di studio vocale con Lorena Scaccia (metodo di Nora Orlandi), approfondendo anche dizione e presenza scenica. Due anni più tardi si affaccia per la prima volta a un palco in qualità di cantante, grazie alla manifestazione benefica “Natale in Musica”, conquistando l’attenzione del pubblico.
Inizia così un percorso fatto di prove, scrittura e concerti nei locali del Lazio. Nel frattempo si forma alla Nuova Accademia Musica e Spettacolo di Rieti, studiando pianoforte, teoria e armonia, e avvia una collaborazione con Luca Vincenti Mareri Tosoni, con cui inizierà la produzione del suo primo album. Nel 2012 arriva la collaborazione con il produttore Walter Babbini e la realizzazione dell’EP d’esordio presso i Revolver Studios di Guidonia, dove suonano musicisti di fama nazionale. Nel 2015, vince il “Premio alla miglior Presenza Scenica” di Sonic Factory e, nel 2025, con il singolo “Anime Perse”, inaugura un nuovo capitolo del suo cammino artistico.
Intervista a Niko a cura di Miriam Bocchino
- Buonasera Niko. “Anime perse” è il tuo nuovo singolo, un brano che parla di un fenomeno oggi più che mai attuale. Mi racconti come nasce?
Ho affrontato un tema che ho vissuto personalmente. Mi è capitata un’esperienza di ghosting in un momento in cui ero un po’ spaesato. Avevo perso i miei punti di riferimento e quindi, automaticamente, ho cercato delle sicurezze in una persona che, alla fine, da un momento all’altro, è sparita senza motivo.
Mi sono chiesto come facciano queste persone a resettare, a passare oltre senza nemmeno un confronto, e mi sono detto ‘devo mettere questa esperienza in musica, devo sfogarla proprio’. Prima è nato il testo e poi la musica. Inizialmente durava cinque minuti, poi ovviamente abbiamo dovuto trovare una quadra, snellire la durata.
Credo che tutti possano abbracciare questa situazione, quotidianamente sento delle storie del genere.
- Il fenomeno del ghosting oggi sembra molto diffuso, derivante probabilmente dalla mancanza di empatia, dall’incapacità di provare sentimenti sinceri o forse anche dalla paura di affrontare l’altro.
Non c’è nemmeno tante volte la voglia di confrontarsi. Si preferisce direttamente passare oltre, andare avanti senza giustificarsi.
- I social media vengono spesso demonizzati e sicuramente hanno un ruolo di rilievo nei fenomeni sociali, eppure alla fine credo che tutto conduca all’essere umano e alla sua evoluzione o involuzione. Tu che peso dai ai social media e secondo te hanno influito sul fenomeno?
Per me hanno influito, più che altro hanno agevolato il fenomeno perché oggi è più semplice sparire, bloccare una persona. Sicuramente la vedo come una sorta di progressione: anche prima c’era ma di questi tempi si cerca sempre più di non avere ‘rotture’, si preferisce andare avanti. Ci tenevo particolarmente che fosse questo il mio singolo di esordio. Volevo che il massaggio arrivasse tranquillo, diretto, senza troppi giri, troppe estremizzazioni.
Il mio rapporto con i social adesso è migliore, prima non li utilizzavo molto.
- Dal punto di vista del sound come nasce?
Io ho frequentato la scuola di Nora Orlandi e Lorena Scaccia in cui si studia seriamente teoria, armonia, solfeggio e ho conosciuto tantissimi cantanti di un certo calibro, anche passati, come Aretha Franklin, Stevie Wonder, Whitney Houston, quindi mi sono sempre cimentato con queste canzoni e tendo sempre a andare verso quella musicalità. Poi, ovviamente, abbiamo dovuto trovare una chiave di lettura più moderna che potesse strizzare l’occhio anche a un pubblico più giovane.
- Il videoclip del brano è diretto da Lorenzo Diego Carrera. Mi puoi raccontare qualcosa in merito?
Lorenzo l’ho conosciuto tramite la mia etichetta. Inizialmente non volevo fare il video, magari solo un lyric video. Poi l’etichetta mi ha detto: ‘faccio ascoltare questo pezzo a un mio amico regista che vive a Los Angeles, che ha fatto video importanti, e sentiamo lui che ne pensa, magari ci dà una chiave di lettura, un’idea.’ Due o tre giorni dopo ci arriva il video, la storia. E non solo. Mi dicono, ‘guarda che lui a fine gennaio, inizio febbraio, è a Milano per qualche giorno, gli piacerebbe girarlo’. È stato fantastico, abbiamo trovato subito un’intesa. Ci abbiamo messo un po’ di ore, un freddo a Milano nel mese di febbraio.
Tra l’altro ti racconto questo piccolo aneddoto: c’era uno stagno e io vedevo che lo guardava tantissimo, a un certo punto mi sono avvicinato e gli ho detto ‘guarda che io non mi butto’’ (risata).
È riuscito a cogliere senza esagerare quello che era il senso della canzone.
- Come nasce in te la passione per la musica? Qual è il tuo primo ricordo legato ad essa?
Nasce da piccolissimo. Io ho due genitori che ascoltano tantissima musica. Mia madre, quando avevo meno di un anno, mi ha portato al concerto dei Pooh e sono diventato la mascotte della serata. Ovviamente io non ricordo niente, però credo che sia stato un po’ un segno. Con il passare del tempo, a scuola facevo sempre parte del coro e mi davano i pezzi solisti, ho iniziato a suonare la chitarra e ad andare a scuola di musica. A un certo punto, credo intorno ai 12-13 anni, vado da mio padre, e gli dico ‘guarda papà, io vorrei fare il cantante’. Lui si mette le mani nei capelli che non aveva. Poi, in realtà, mi ha sempre sostenuto.
All’inizio c’è un po’ la paura, perché sono dei mestieri incerti, che non sono tutelati per niente, soprattutto in Italia. Poi la gente pensa sempre ‘vuoi cantare? Allora non vuoi fare niente’. Al contrario, c’è uno studio, un percorso, l’impegno. Oggi trapela un messaggio diverso. I ragazzi che si approcciano a questo mestiere vogliono subito apparire, non c’è più la gavetta.
- Si rischia di non sopportare la pressione, pensiamo ad Angelina Mango e Sangiovanni.
C’è una pressione pazzesca a quei livelli e quando non sei abituato o non hai un carattere forte ti ritrovi a non saperla gestire e quindi ad avere problemi. Questi ragazzi sono stati strizzati e non si sono accorti del problema che poteva sorgere, perché magari c’erano troppe cose in ballo e in quel momento si cerca di spingere. Bisogna stare attenti. Meglio partire piano piano, creare una credibilità, una tua forza.
- Quali saranno i prossimi step?
Ovviamente sto lavorando ad altri pezzi, voglio realizzare un EP. Mi piacerebbe portare un po’ di quel me che ascolta Stevie Wonder in chiave però sempre moderna. Sto pensando di inserire anche qualche cover, non so se adesso o in futuro. Entro l’anno spero di far uscire l’EP.
- E invece un sogno nel cassetto?
Sicuramente realizzare un duetto. La devo sparare? Voglio realizzare un duetto con Benson Boone.
Niko