Nuovo (triste) capitolo della storia della Brexit

Continua l’Odissea della Brexit, a più di due anni dal via della procedura di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

Doppio no al Primo Ministro Johnson in pochi giorni, quando il Parlamento britannico ha respinto il suo accordo con Bruxelles e la richiesta di elezioni anticipate al 12 dicembre. Tutto rinviato a gennaio, che minaccia di essere l’ultima proroga ufficiale per dare tempo alla Gran Bretagna di partorire una nuova proposta per la Brexit. Sempre che il governo tenga botta fino a Gennaio 2020. Leggendo la proposta, Johnson aveva sorprendentemente trovato un medias res tra gli hard-brexiters che volevano un divorzio totale dall’UE e gli Stati Membri del mercato unico, che invece volevano garanzie per i cittadini europei residenti in Gran Bretagna (soprattutto per quelli sprovvisti di passaporto britannico). Molto interessante era la posizione riguardo l’Irlanda del Nord, che sarebbe rimasta nell’unione doganale britannica, ma allo stesso tempo parte del mercato unico europeo per i prossimi 4 anni, con possibilità di proroga. Una posizione che non deve essere piaciuta molto agli esponenti del partito irlandese, che fin da subito hanno minacciato una bocciatura. A questo punto, gli scenari non sono dei più rassicuranti: un accordo (con chissà quali termini), una Brexit senza accordo (improbabile però, dato che la Regina ha firmato la mozione che respinge una Brexit senza accordo) oppure un’ennesima proroga. Quest’ultima farebbe ulteriormente perdere la Gran Bretagna della credibilità politica così radicata e famosa in Europa e nel mondo, per non parlare delle ripercussioni sui mercati finanziari, da sempre sensibili alle questioni irrisolte. Inoltre, una proroga innervosirebbe gli hard-brexiters, gli europeisti e gli elettori che hanno votato per uscire dall’Unione. Insomma, una proroga scontenterebbe tutti, anche se darebbe più tempo all’addio della Gran Bretagna e farebbe sospirare gli europei nel Regno Unito.

Un No Deal equivale ad un salto nel buio, ipotesi che non trova esempio in nessuno stato europeo: la Svizzera ha più di 200 trattati commerciali con l’UE e la Norvegia è a tutti gli effetti parte del mercato unico, ma fuori dalle regolamentazioni politiche e dal Parlamento Europeo. La Gran Bretagna sarebbe dunque la pioniera di un divorzio senza capisaldi, seguendo il principio “o la va, o la spacca”. Sebbene il Paese possa contare su una moneta solida, più forte dell’euro e conosciuta globalmente grazie alle ex-colonie, la Gran Bretagna non incide più sul mercato mondiale come al tempo dell’Impero ed è quindi soggetta a speculazioni e oscillazioni del tasso di inflazione e della conseguente svalutazione della moneta. Inoltre, non è automatico che siccome i vincoli dell’UE vengono abbandonati, gli Stati fuori dall’UE abbiano interesse a commerciare. Se l’UE offre prospettive di investimento a tassi minori proprio per via del mercato unico, colossi emergenti come la Cina e l’India si rivolgeranno agli Stati Membri piuttosto che alla Gran Bretagna. Oppure sarà tutto il contrario, se il Regno Unito detta scambi commerciali più liberi. Per ora, è tutto rimandato a gennaio.

Martina Seppi

Foto di DANIEL DIAZ da Pixabay

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