Preferire l’economia alla salute o la salute all’economia?

Durante le ultime conferenze stampa, il Dipartimento della Protezione Civile ha cercato di dare delle tempistiche alla nazione in merito alla fatidica data di fine della quarantena: le ultime notizie (poi smentite) parlavano di un possibile protrarsi della costrizione domiciliare oltre al primo maggio, mentre si cerca ancora di comprendere se il 13 aprile riapriranno alcune ditte e/o negozi, bar e ristoranti.

I medici consigliano di non abbassare la guardia e di non alleggerire le regole della quarantena, data la lenta ma stabile riduzione di contagi, soprattutto in Lombardia e in Veneto. Inoltre, non allentare le misure della quarantena può evitare di avere un secondo focolaio nel Sud del paese, fino adesso interessato da casi in linea con i dati delle regioni del Nord meno colpite.

Il dilemma fondamentale è se il Governo deve anteporre l’economia del Paese alla salute dei propri cittadini o viceversa. E con il termine economia non mi riferisco ai Corona bond, grande produzione industriale e PIL, ma al lavoro che porta i soldi necessari a far vivere le famiglie italiane.

Dunque, è meglio rimandare la questione del lavoro, dello stipendio e, alla fine, della sopravvivenza delle persone per far fronte all’emergenza sanitaria o è più opportuno riaprire quelle attività chiuse da quasi quattro settimane per evitare scene di tensione ai supermercati, dove chi non può permettersi da mangiare decide comunque di fare la spesa ma non pagarla?

In altre parole, bisogna scegliere tra il pane e il dottore, scelta non di poco conto.

Perché se è vero che i guariti in Italia sono più dei deceduti, una diffusione incontrollata del Covid-19 potrebbe potenzialmente causare centinaia di migliaia di morti.

Mi sembra di rivivere la cronaca dell’Ilva di Taranto, senza però una via di fuga gestibile da parte del Governo. Infatti anche nel caso dell’Ilva si è dovuto scegliere tra lasciare che l’impianto inquinasse l’aria e favorisse l’insorgere del cancro (soprattutto tra i bambini) e la chiusura della fabbrica che avrebbe comportato la fame di decine di famiglie. Se però per il caso dell’Ilva la soluzione era investire nei depuratori e nei filtri per le scorie industriali, qui il Governo non ha modo di contrastare un’infezione virale, perché fatica a controllare gli spostamenti dei cittadini, soprattutto nelle aree più popolate. Nonostante i vigili e la Polizia abbiano fatto quasi 15.000 multe in due giorni, le persone che sono state ritenute colpevoli di spostamenti non giustificati hanno già potenzialmente infettato le persone con cui sono venute a contatto. E anche se non l’avessero fatto, non è concepibile che passi il messaggio che l’allerta sia finita, non avendo ancora raggiunto con sicurezza il picco dei contagi.

Il Governo, dunque, è chiamato a ponderare il rischio sanitario vis-a-vis la possibile e graduale ripresa di alcune attività economiche per far fronte all’emergenza denaro, che non credo possa essere sanata con 600/800 euro al mese per i liberi professionisti e con ferie anticipate e cassa integrazione per i lavoratori dipendenti.

Si attendono risposte mentre il Dipartimento della Protezione Civile ancora valuta il da farsi.

Martina Seppi

Immagine: Foto di emmagrau da Pixabay

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