“Prove romane”: versi di David Taglieri

Alle prove tutti i filosofi si era adunati per restituire alla filosofia una rappresentazione pratica; e per donare al pubblico pagante la misura dello studio, il fascino di staccare la spina dagli smartphone e dai logorii della logorante vita quotidiana che non era più, già da tanto tempo esistenza pensata.

Anche Alessandro l’attore e Gregorio il musicista, su suggerimento di Socrate, che celava il monito di un invito, deliberarono per il teatro, ricordando il testo e la musica di una canzone complicata ma bellissima ed entusiasmante. Loro si sarebbero seduti in fondo fra l’uscita del camerino e lo specchio. Intanto il regista Gigi stava dando le ultime e rinnovate indicazioni alle poetesse; queste fanciulle di belle speranze, quando avevano avuto la proposta da Aristotele ad unirsi all’esperimento che avrebbe composto in un puzzle il pensiero speculativo ad i versi fra le strofe non ci pensarono un attimo.

Erano in 16 su quel palco e c’era l’atmosfera di una Roma lì fuori, quasi rimasta pura fra il quartiere vecchio e le ubriacature di culturarte; un giro in piazzetta, le barzellette di Vasco, le risate dei ragazzi che portavano il loro vissuto sopra quel pavimento di legno e lo bagnavano dell’acqua della coscienza che sgorgava dalle loro idee per dissetare una settimana. I sogni di un gruppo eterogeneo che per il teatro si compattava e usciva dagli schemi temporali dell’orologio.

Riprodurre Shakespeare ed accantonare la squallida competizione con il coltello fra i denti: anche se si aggirava un ucraino dall’accento indefinito che voleva dividere la brigata, la squadra resisteva. Mancavano pochi istanti, minuti ed ore interminabili contraddistinte dalla passione per un gioco esibizionista ed introspettivo, che metteva davanti allo specchio attori e spettatori.

Laika, ora, aveva ben chiari tutti i movimenti, e quella imperfezione perfetta rappresentava già un aperitivo di una serata che già immaginava indimenticabile…

E mentre Roma profumava di primavera in trasferta, i commedianti leggevano e rileggevano il copione non per ripassare le battute, ma per carpirne un eventuale ed ulteriore moto dell’anima.

E mentre un attore corteggiava la sciantosa, volavano sorrisi, risate e parole ad alta voce per tradire un’ansia e stigmatizzare una preoccupazione. Si chiusero le luci con una velocità dirompente e gli attori lasciarono le loro vite in camerino per immergersi in una notte shaskperiana.

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