Quanto siamo disposti a perdere per i nostri sogni?

Smesse le ricerche degli alpinisti Daniele Nardi e Tom Ballard sul Nanga Parbat. La moglie di Nardi “rispettavamo il suo ideale”

Sono state giornate lunghissime quelle di chi, in queste ultime settimane, ha seguito la vicenda dei due alpinisti, Daniele Nardi e Tom Ballard, dispersi dal 24 febbraio sulla parete Diamir del Nanga Parbat, nel Karakorum pakistano. Difficilissime le ricerche a causa delle pessime condizioni metereologiche su quella che è, con i suoi 8126 metri, la nona montagna più alta della terra.  Nona per altezza, ma seconda, tra le 14 “ottomila” (così sono definite le montagne più alte, che superano appunto gli 8000 metri), per indice di mortalità, ovvero per il rapporto tra gli scalatori arrivati in vetta e le vittime.

Il sogno dello sperone Mummery

Nardi aveva scelto di salire lo sperone Mummery, un progetto che sognava di realizzare da tempo e l’unico disposto ad accompagnarlo era stato l’alpinista inglese Tom Ballard. Salire quella via in inverno sarebbe stata, per entrambi, la salita più importante della loro carriera e li avrebbe resi, anche se forse lo erano già, leggende dell’alpinismo.

“Cosa spinge un individuo a patire freddo, disagi, intemperie, fatiche inumane? – si era chiesto lo stesso Nardi, 42 anni, alpinista affermato, marito, padre, in un messaggio lasciato prima di partire ­- Tre anni dedicati a un progetto visionario: le invernali al Nanga Parbat. Una sfida al limite del possibile, in uno scenario montano tra i più belli del mondo”.

Nardi, come ha raccontato Simone Moro, alpinista e compagno di alcune salite, era al suo quinto tentativo. Aveva quindi già salito il Nanga Parbat e certamente sia lui che Ballard avevano l’esperienza e le abilità tecniche per quella scalata, ma il rischio era comunque altissimo. “È innamorato di quella via ed è quello che la conosce meglio al mondo” ha raccontato Moro a Vanity Fair “se è tornato per la quinta volta significa che in coscienza non la reputava così pericolosa”.

E solo sabato è arrivata la triste notizia: sono state concluse le ricerche, le sagome avvistate dal potente telescopio di un altro grande dell’alpinismo, il basco Alex Txikon, erano le loro. Non verranno recuperati, almeno per adesso, i loro corpi. I due rimarranno immersi tra le nevi dello sperone e con loro il segreto degli avvenimenti di questi ultimi giorni: non si sa se a fermarli sia stata una valanga, o le temperature estreme.

Vivere significa anche inseguire i propri sogni, qualunque sia il prezzo

Morto per inseguire un sogno, così sarà ricordato Daniele da chi può comprendere una passione tanto forte come quella per la montagna. Proprio in questi giorni sono usciti due documentari che raccontano i progetti di altri due grandi, in questo caso di scalata su roccia, Alex Honnold e Tommy Caldwell. Due storie che raccontano di sogni impossibili, di impegno e fatica, di come si possano mettere i propri sogni davanti a tutto. I documentari vogliono, però, mettere in luce l’altra faccia della medaglia: cosa c’è dietro delle imprese, così rischiose che non riusciamo sempre a comprenderle, la preparazione, la fatica, l’ossessione. Noi vediamo il risultato, ma queste persone lavorano anni, con un solo obiettivo, fallendo centinaia di volte finché, un giorno, o tornano vincitori o non tornano affatto. Sono storie di grande coraggio, da cui tutti dovremmo imparare, perché non sempre vivere significa cedere al compromesso e rinunciare a quello in cui crediamo.

“Mi piacerebbe essere ricordato come un ragazzo che ha provato a fare una cosa incredibile, impossibile, che non si è arreso e se non dovessi tornare il messaggio che arriva a mio figlio sia questo: non fermarti non arrenderti, datti da fare perché il mondo ha bisogno di persone migliori che facciano sì che la pace sia una realtà e non soltanto un’idea… Vale la pena farlo”.

Benedetta Manca

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