#quellavoltache dalla violenza ci rialzammo: il caso Weinstein

Lo scoppio del caso Weinstein ha sollevato un vero e proprio polverone mondiale in tema di abusi e violenze sulle donne. Si sono susseguite decine di denunce contro il produttore, tra cui quella di Asia Argento che ha reso l’Italia protagonista della bufera mediatica. Il belpaese come si sarà espresso? Ha fatto sentire il suo appoggio incondizionato o ha preso le distanze dalla denuncia dell’attrice? Come ormai ben sappiamo di appoggio incondizionato non si può, purtroppo aggiungerei, parlare. Da subito sono stati twittati post molti duri nei confronti dell’Argento.  Come ammesso dalla stessa Asia in un’intervista a La Stampa “solo nel mio Paese sono stata insultata”.  Ciò che emerge da questa presa di posizione italiana (mi sento di puntualizzare non unanime), è la poca consapevolezza di cosa sia da giudicare violenza e cosa invece “fatto con consenso”.

Nei mesi passati sono stati molti i casi, riportati dalla stampa e dai telegiornali nazionali, di stupri e violenze ai danni di donne. Non ultimi il caso della turista polacca, vittima di una brutale violenza in una spiaggia della riviera romagnola, e il caso delle due studentesse americane che hanno denunciato la violenza subita da una di loro dal carabiniere fiorentino. Intanto è da precisare il reale significato di stupro, violenza e abuso.

Si definisce violenza sessuale, in modo generico, qualsiasi attività, rapporti completi o contatti sessuali non consenzienti, per il non volere di una delle due parti o la sua impossibilità a dare il consenso a causa di alcool, droga o altre situazioni. Abuso si riferisce a ogni tipo di contatto non consensuale, come anche a parole dispregiative o atteggiamenti che recano danni fisici e psicologici alla persona coinvolta. Si parla di stupro per quei rapporti sessuali completi in cui mancando il consenso, questo viene ottenuto con violenza fisica, minacce o inganni, a danno di persone sia coscienti che momentaneamente o perennemente incapaci di intendere e di volere.  (dati presi da https://www.istitutobeck.com/abuso-sessuale-trauma )

È evidente che non è necessario che sia usata violenza fisica per poter parlare di violenza sessuale. Come ha affermato Giulia Blasi “Se sono ubriaca e non nelle mie piene facoltà, se sono stata spinta, forzata, convinta in qualsiasi modo, non è consenso. Se c’è uno squilibrio di potere non può esserci consenso. Riguardo ai casi che ho citato sopra, si ricorderà che per il primo, la rabbia e la condanna erano state espresse in modo, potremo dire unanime. Nel secondo caso le due studentesse hanno avuto un po’ la stessa storia di Asia, vittime di insulti e accusate di mentire. In entrambe le vicende c’è stata violenza. Ma perché allora ci sono stati due pesi e due misure? Ecco che la spiegazione trova conferma con la vicenda di Asia Argento.

L’opinione pubblica italiana ritiene violenza solo un’aggressione, una coercizione fisica ai danni di una donna che “non se l’è andata a cercare”. La ragazza polacca non aveva comportamenti “discutibili”, era in compagnia di un suo amico, non era ubriaca, quindi non può aver provocato e dato il consenso ai suoi aggressori. Le ragazze americane invece, erano palesemente ubriache, come riportano le testimonianze, all’uscita di una discoteca, hanno accettato un passaggio in macchina, quindi la situazione è chiaramente “fraintendibile”. Ma veniamo ad Asia, ragazzina ambiziosa, accetta un invito in camera del potente produttore. Asia, davvero eri inconsapevole di cosa sarebbe avvenuto? Come se quell’episodio non ti sia stato utile per la tua carriera!!

Ovviamente il mio tono è ironico e sfumato di rabbia. Non è in alcun modo la mia opinione, ma è il pensiero di una buona fetta degli italiani e anche, purtroppo italiane.  La violenza è abuso di potere, fisico ma anche psicologico! E il non consenso è l’elemento discriminante. Se sono ubriaca, non sono di conseguenza consenziente. Se non ho riportato conseguenze fisiche ma psicologiche, sono vittima lo stesso. Se lui ha più potere di me, io sono la vittima, lui il carnefice. E, ultimo punto, la violenza non è mai un vantaggio!

Asia, come le altre 35 donne, non hanno denunciato subito, ma a distanza di 20 anni. La maggior parte delle critiche le arrivano per questo, perché il messaggio recepito è che prima ne ha tratto vantaggio, e poi piange, come viene intitolato un poco felice articolo di giornale del quotidiano Libero. In Italia sembra normale che un uomo usi la sua posizione per ottenere ciò che vuole tanto che, sono ancora parole di Giulia Blasi “non mettiamo sotto accusa chi abusa ma chi è abusato. Non si denuncia chi approfitta del suo ruolo. Ma chi è stata “debole”, non ha reagito, non ha rifiutato”.  

Ma forse ora è tempo di cambiamenti. Lo scandalo americano sta insegnando a tutto il mondo e anche all’Italia che una violenza non deve essere giustificata, non deve essere la “normalità”, deve essere denunciata e cosa più importante, deve avere delle conseguenze.

Le donne devono discolparsi, denunciare e essere difese, non offese. Proprio per questo è nato il progetto di Giulia Blasi #quellavoltache, un hashtag che le donne, ma anche qualche uomo, stanno usando sulla rete, per denunciare le violenze subite e mai raccontate, per smuovere l’opinione pubblica e far sentire la propria voce. in Italia come nel resto del mondo vengono usati per lo stesso scopo l’hashtag #Metoo, lanciato su twitter dall’attrice Alyssa Milano, #StopTheSilence e #EverydaySexism, lanciato dall’attivista Laura Bates per raccogliere esperienze di sessismo giornaliere in tutto il mondo.

Che sia l’inizio di una nuova era di parità? 

 

Per le testimonianze visita  

https://left.it/2017/10/16/quellavoltache-la-rete-diventa-testimonianza/

Rachele Signorini

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