RECENSIONE DE “LA MEMORIA DI BABEL” – L’ATTRAVERSASPECCHI, VOLUME 3

Il terzo volume della saga de L’attraversaspecchi è il classico volume di mezzo. L’episodio ponte tra due grandi momenti. Necessario ma non per forza effervescente. La Dabos vi ha racchiuso i tratti salienti del passaggio che Ofelia compie dall’età adolescenziale all’età adulta. Anche questo necessario ma a tratti “ingolfato” e forse, più del dovuto.

Da quando Ofelia ha incontrato Dio e perso Thorn sono già trascorsi 3 anni. Cos’ha fatto nel mentre? Sostanzialmente nulla: ha vissuto su Anima come fosse un fantasma. Ha letto tanto, studiato la geografia dell’intero universo delle Arche e interiorizzato tutta la sofferenza dovuta all’immobilismo e alla nostalgia.

Quando i vecchi amici della sua vita passata arrivano a salvarla decide di andare da sola sull’arca Babel perché crede che sia lì che si trovi Dio e di conseguenza suo marito. Una volta arrivata, grazie alla rosa dei venti, scoprirà che su quest’arca vigono regole completamente diverse da quelle di Anima e di ChiardiLuna. Babel è un’arca doppia, un’arca-specchio, tutto ha sempre due facce, due versioni, due prospettive, proprio come i suoi due spiriti di famiglia: l’elefantiaca Helena ed il serafico Polluce.

Ofelia sarà per tutto il tempo un’altra: Eulalia. Soprattutto grazie a questo “sdoppiaggio” scoprirà di essere più imbranata, spaventata e immatura di quanto immaginava.

Tutti i segreti del passato, del vecchio mondo le si prostrano appena varca le soglie del mastodontico memoriale di Babel. Peccato che la cieca ricerca di Thorn, la tempesta ormonale e comportamentale che la pervade – tipica degli adolescenti – e la lotta contro il bullismo serrato, le impediscano di vedere ciò che ha sotto i propri occhi fin dal principio.

È vero che, soprattutto in questo volume, l’80% del racconto è incentrato sulla protagonista. È vero che tutti gli altri personaggi (e le vite che vivono sulle altre arche) rappresentano delle rare pennellate di colore su uno sfondo perennemente opaco e confuso come la vita di Eulalia su Babel. Ed è anche vero che la protagonista resta una ragazza dall’orgoglio dirompente anche nel caos del cambiamento.

Ciò nonostante si avverte una sorta di “depotenziamento” del personaggio di Ofelia. Le difficoltà che deve affrontare quotidianamente non rallentano solo il suo sviluppo nella storia. Assistiamo ad una vera e propria regressione del personaggio ad uno stato di insicurezza, incompletezza e confusione tale da farci quasi dimenticare perché ne siamo stati così stregati nei libri precedenti.

Il messaggio della Dabos è chiaro: se non impari a conoscere e ad ascoltare te stesso non potrai mai vedere davvero ciò che ti circonda e carpirne segreti e sfumature.

Senza la capacità di autoanalisi, autocritica, una solida consapevolezza di sé, l’equilibrio emotivo e il coraggio dei propri sentimenti, nulla può essere svelato. È però frustrante per noi lettori, soprattutto per quelli poco pazienti come me, dover aspettare la maturazione e la presa di coscienza della protagonista. Percorso troppo lungo rispetto poi alla velocità con la quale si scoprono nelle ultime pagine tutte le cose che volevamo sapere. Infatti proprio nelle ultime pagine vengono sapientemente piantati tutti “i semi della soluzione finale”.

Resta chiaramente immutato il fascino della creazione che esercita questa saga. Christelle Dabos non solo ha immaginato un’avventura entusiasmante ma ha inventato un vero e proprio universo – immenso – che da un lato vediamo crollare a pezzi e dall’altro crescere ed espandersi grazie alla nostra immaginazione pagina dopo pagina.

Aspettiamo tutti l’estate 2020 per scoprire finalmente chi è l’Altro, cosa vuole Dio, chi è diventata alla fine Ofelia e cosa ne sarà del mondo della Dabos.

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