Recensione dello spettacolo “LE MAMMELLE DI TIRESIA” al Teatro Trastevere

LE MAMMELLE DI TIRESIA

dramma surrealista in due atti e un Prologo

di Guillaume Apollinaire

regia: Andrea Martella

Teatro Trastevere

personaggi ed interpreti

Teresa-Tiresia / La Cartomante: Simona Mazzanti

Il Marito: Flavio Favale

Il Gendarme: Edoardo La Rosa

Il Chiosco / Presto / Il Figlio: Vania Lai

La Giornalista parigina / Lacouf / Una Signora: Giorgia Coppi

Il Direttore / Il Popolo di Zanzibar: Walter Montevidoni

ambienti sonori: Attila Mona

disegno luci: Pietro Frascaro

costumi: Anthony Rosa

installazione scenografica: Valerio Giacone *

foto: Manuela Giusto *

* per gentile concessione della galleria d’arte FABER

[un ringraziamento a Cristian Porretta]

“Per caratterizzare il mio dramma mi sono servito di un neologismo che sono certo mi vorrete perdonare, dato che raramente mi capita di crearne, e ho coniato l’aggettivo surrealista.”
Guillaume Apollinaire nella Prefazione de “Le Mammelle Di Tiresia”

A Zanzibar, rappresentazione della Francia di inizio Novecento, Teresa abbandona il marito, uomo greve e prepotente, per assumere un’identità maschile, lasciando volar via le proprie mammelle. Si chiamerà Tiresia. Il marito, solo e abbandonato, si troverà costretto ad assumere un’identità femminile per sobbarcarsi i compiti dovuti al ruolo di moglie e donna, compresa la maternità. Metterà al mondo, in un sol giorno, 49.051 bambini. L’uomo diventerà una madre ambiziosa, tanto da far innamorare un autoritario e virile Gendarme e da attrarre le attenzioni della stampa.

Dopo aver debuttato, nella scorsa stagione, con “Il Cuore a Gas”, capolavoro dadaista di Tristan Tzara, hangar duchamp prosegue il suo percorso all’interno delle avanguardie artistiche del Novecento proponendo un classico del teatro surrealista. Addirittura “Le Mammelle di Tiresia” può essere considerato l’atto iniziale del Surrealismo, visto che la stessa parola “surrealista” fu un neologismo coniato proprio da Apollinaire per descrivere la sua opera, caratterizzata da un testo pieno di riferimenti e sorprese linguistiche, tra mitologia e innovazione.
La regia di Andrea Martella interpreta la narrazione in modo fluido, spingendo sul pedale della comicità e della poeticità ed eleggendo a filo conduttore il mondo infantile, così ampiamente presente nel testo originale. I due atti vengono uniti in un unico tempo nel quale ogni singola scena viene trattata come una mini performance a sé stante.
Ne viene fuori uno spettacolo progressive, per usare un termine musicale, in cui ogni idea ed ogni immagine sostituisce la precedente senza soluzione di continuità, come un quadro onirico pieno di dettagli che risulta quasi impossibile catturare con un solo sguardo.

L’artista Valerio Giacone realizza per l’occasione un’installazione scenografica site specific con il supporto della galleria d’arte FABER, che concede anche la possibilità di una collaborazione con la fotografa ed artista Manuela Giusto per l’immagine di locandina; un dialogo tra arte visiva e teatro che è alla base della ricerca di questa compagnia teatrale. Il sound engineer Attila Mona lavora, invece, ad alcune tracce di ambientazione sonora che, nella loro ossessiva presenza, rappresentano quasi un immaginario personaggio in costante commento all’azione scenica.
I costumi di Anthony Rosa, a cavallo tra infanzia e immaginario bohémienne, liberano i personaggi dal giogo delle azioni ripetute e coinvolgenti, portandoli in un mondo “razionalmente immaginario”. Si rinnova anche la collaborazione di hangar duchamp con Pietro Frascaro, per un disegno luci che restituisce l’idea del sogno, tra inquietudine e immaterialità.

Recensione

Uno spettacolo originale e differente da ciò che spesso nei teatri viene proposto.

L’opera è tratta dal dramma surrealista di Guillaume Apollinaire “Le mammelle di Tiresia”e gli attori con padronanza e bravura sono riusciti a riportarlo alla luce.

“E’ giunto il tempo di riaccendere le stelle”: queste le parole iniziali di colui che ci preannuncia la vicenda, terribile e bizzarra.

Nel frattempo, i quattro attori, sul palco, intervallano senza sosta il movimento di togliersi la giacca e di rimetterla, cambiando in modo repentino espressione facciale e rappresentando svariate azioni.

Ma ecco che la vicenda ha il suo inizio: Teresa, ormai stanca di non avere nessun diritto, decide di non essere più donna bensì vuole fare delle sua vita ciò che le aggrada, come andare in guerra e, soprattutto, non vuole fare bambini! I bambini, quelli, proprio non li vuol fare! Stacca le sue mammelle ed abbandona il marito, divenendo Tiresia!

Il marito, ormai abbandonato, dopo un iniziale momento di disperazione comprende di star divenendo donna e decide, quindi, di generare tantissimi bambini, nello specifico 49.051. Bambini che sono anch’essi molto stravaganti: chi fa l’artista, chi lo scrittore, chi è già sposato con un uomo ricco e chi fa, ahimè, la giornalista. La giornalista, interpretata da una bravissima Vania Lai, è uno dei personaggi più riusciti: è inquietante e ricattatrice. Ricatta il padre per avere dei soldi, causa lo svelamento dei suoi segreti.

“Le mammelle di Tiresia” è uno spettacolo finemente interpretato; ogni attore è perfetto sulla scena ed insieme formano un’alchimia capace di rendere l’opera vincente!

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