Rita Borsellino, la sua morte per ricordare la lotta alle Mafie

È doveroso ricordare Rita Borsellino, la sorella del magistrato antimafia Paolo Borsellino, morta a 73 anni a causa di una lunga malattia.

Dopo l’uccisione del fratello, questa donna è diventata il simbolo della lotta alla criminalità organizzata. Il suo impegno, iniziato dal basso, è arrivato fino in politica, quando nel 2005 si candidò alla Presidenza della Regione Sicilia. Eletta europarlamentare del Partito Democratico dal 2009 al 2014, nel 2012 perse per pochi voti le primarie come candidato del centrosinistra a sindaco di Palermo.

Uno dei contributi più importanti di Rita Borsellino è stato l’approvazione della legge 109/96 sull’uso sociale dei beni immobili confiscati alle Mafie insieme all’associazione Libera di don Ciotti, della quale nel 1995 divenne vicepresidente e per dieci anni fu presidente onoraria. Senza dimenticare la sua costante dedizione nell’educazione “alle mafie” nelle scuole e tra i giovani.

«Il nodo della collusione politica va sciolto una volta per sempre. I partiti hanno il dovere di essere al di sopra dei sospetti. Devono “dare l’esempio”. Chi rappresenta il popolo non può permettersi di suscitare il minimo dubbio sulla propria condotta morale». È con queste parole che Rita Borsellino ha portato avanti la sua lotta personale e civile contro Cosa Nostra e tutte le Mafie.

La sua morte è un’occasione importante per non dimenticare che, tra gli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta, l’Italia ha vissuto una delle fasi politiche e sociali più difficili e buie.

È il 19 luglio 1992, quando viene ucciso il procuratore aggiunto di Palermo Paolo Borsellino assieme a quattro agenti della scorta, mentre faceva visita alla madre: la strage di via D’Amelio a Palermo. Appena 53 giorni prima era morto il giudice Giovanni Falcone, con cui il pm aveva collaborato nel “maxiprocesso” contro Cosa Nostra.

Dopo la cattura del boss Totò Riina e il turbolento passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, nella Quarta – in aprile – si è concluso il primo grado di giudizio del discusso processo sulla Trattativa Stato-Mafia, con la condanna di tre carabinieri del ROS e di Marcello Dell’Utri. Tutti accusati di “minaccia” contro lo Stato.

La controversa sentenza di condanna, pur non definendo la Trattativa un reato penale, riconosce che i quattro uomini – tutti al servizio delle istituzioni – avrebbero recapitato dei messaggi provenienti da Cosa Nostra ai Governi, affinché questi ultimi adottassero un atteggiamento morbido nei confronti dell’organizzazione siciliana. In cambio Cosa Nostra avrebbe messo fine alla cosiddetta “stagione delle stragi”, iniziata con la capillare lotta alla Mafia durante una parte degli anni Ottanta.

Restano ancora i dubbi sia sulla morte dei due magistrati antimafia che sull’estensione della Trattativa e, quindi, su tutte le persone coinvolte in prima persona.

Al di là di nomi più o meno noti coinvolti nel processo sulla Trattativa – assolti, prosciolti o accusati – la morte di Rita Borsellino dovrebbe servire a ricordare che gli ultimi 25 anni di storia italiana è costellata di enigmi irrisolti (per citarne uno, la scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, dove il pm sembra avesse raccolto alcune importanti testimonianze di pentiti che avrebbero parlato di un “dialogo” allora in corso tra Stato e Cosa Nostra e sulle talpe della Mafia all’interno delle istituzioni).

Enigmi che, forse, richiedono un impegno vero di verità e giustizia oggi della politica, come non ha mai smesso di dire la stessa Rita Borsellino.

Chiara Colangelo

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