Siria: tra speranze democratiche e realtà violente

Foto di David Peterson da Pixabay

Foto di David Peterson da Pixabay

Era il dicembre 2024 quando le forze ribelli di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) guidate dal leader Abu Muhammad Al Julani con il supporto della Turchia hanno conquistato la città di Aleppo e messo in fuga l’ex dittatore siriano Bashar Al-Assad, in un’operazione militare durata pochi giorni, dopo oltre 40 anni di oppressione politica e sociale. Le immagini delle liberazioni dei prigionieri dalla prigione di Sednaya hanno fatto il giro del mondo, a testimonianza della crudeltà del regime di Al-Assad.

Le forze politiche occidentali hanno accolto in maniera positiva il volto nuovo della Siria, ma non senza alcuni scrupoli, legati soprattutto alla figura controversa del leader Al Julani. Nato a Riad, in Arabia Saudita, Al Julani è conosciuto principalmente per il suo passato da militante nell’organizzazione terroristica di al-Qaeda, dove ha servito dal 2003 in Iraq contro l’invasione degli Stati Uniti. Dopo essere stato catturato dalle forze statunitensi e rilasciato cinque anni dopo, si allea con il leader Abu Bakr al-Baghdadi, che diventerà la guida suprema dell’ISIS. Prese le distanze dal movimento di al-Qaeda, Al-Julani diviene il leader dell’HTS in Siria, guidando la resistenza armata contro il presidente Al-Assad.

Le posizioni politiche di Al-Julani sono molto contraddittorie: se da un lato promette un futuro democratico in Siria, dall’altra fatica ad inviare segnali concreti di avvicinamento al mondo occidentale e ai valori democratici, come il rifiuto di stringere la mano alla ministra tedesca Annalena Baerbock, in visita ufficiale a gennaio 2025. Inoltre, la Siria è un paese estremamente eterogeneo per quanto riguarda i diversi gruppi etnici. Il 70% della popolazione è musulmana sunnita, sparsa in tutto il paese. Sul Mar Mediterraneo, più precisamente nell’enclave della città di Latakia, vive la maggior parte della comunità alawita, mentre nelle zone a nord sono presenti le fazioni della resistenza curda, nella regione del Rojava, con circa 2.5 milioni di abitanti.

Gli alawiti sono la comunità di appartenenza di Al-Assad. Per anni l’ex dittatore ha attinto risorse militari dalla comunità alawita, rendendola invisa alle forze di opposizione al suo governo. La strada verso la democrazia in Siria risulta molto più in salita del previsto, considerando soprattutto il recente massacro della comunità alawita avvenuto a marzo, durante il quale oltre 1000 persone sono state uccise dalle forze di liberazione. La HTS si è giustificata dicendo di avere delle prove di possibili attacchi contro il nuovo governo instaurato da Al-Julani da parte dei simpatizzanti di Al-Assad della comunità alawita.

Un’altra questione importante è quella della resistenza curda in Rojava. La Turchia non vede di buon occhio la popolazione curda, in particolare gli esponenti del partito dei lavoratori Pkk, considerato da Ankara come un gruppo terroristico. La recente cacciata di Al-Assad grazie anche al sostegno della Turchia ha mosso qualcosa all’interno dei vari gruppi di resistenza curda, sia in Siria, sia nel paese di Recep Erdogan. Di recente, il leader del Pkk Abdullah Öcalan ha invitato il gruppo a desistere dai combattimenti contro la Turchia, mentre la comunità in Rojava si chiede se il suo sogno di un territorio curdo democratico in Siria potrà essere possibile sotto la guida di Al-Julani.

La Siria è tornata sotto la lente di ingrandimento di molti paesi sia all’interno, sia all’esterno del Medio Oriente. Il paese ha bisogno di tempo, di menti politiche lungimiranti, ma soprattutto di libere elezioni per poter scegliere il destino del proprio popolo. Per il momento, il mondo osserva attentamente il nuovo governo e studia le prossime mosse.

Credits: The Washington Post

Iscriviti alla newsletter settimanale per rimanere aggiornato su tutti i nostri articoli!