“SPQR – Trilussa” a cura di Danilo Zuliani e Stefano Germani: racconto di una serata “romanesca”

Nella cornice di Piazza San Francesco, nel quartiere Trastevere, si sta svolgendo dal 15 settembre TRASTESTORIE DE’ PIAZZA che si concluderà il 27 settembre.

La rassegna di spettacoli dal vivo è organizzata dall’Associazione Culturale Teatro Trastevere in collaborazione con il MUNICIPIO ROMA I CENTRO, Progetto Ripa frati minori Lazio Onlus, Trastevere Attiva e Il Ventriloco.

Due settimane in cui, oltre alla visione dell’arte nelle sue innumerevoli sfaccettature, si favoriranno dei progetti di solidarietà e animazione culturale.

Il 16 settembre si è svolto il reading “SPQR – Trilussa” a cura di Danilo Zuliani e Stefano Germani dell’Associazione Nomen Omen.

Trilussa, pseudonimo di Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri (Roma, 26 ottobre 1871 – Roma, 21 dicembre 1950), è stato un poeta, scrittore e giornalista italiano, particolarmente noto per le sue composizioni in dialetto romanesco.

Durante il corso della vita ha raccontato, attraverso i suoi versi, la cronaca romana e italiana, evidenziando gli aspetti più naturali e immorali dell’essere umano: la corruzione, la politica, l’ipocrisia, l’ingiustizia del mondo. Trilussa, tuttavia, ha narrato anche l’esistenza nei suoi elementi più profondi, come l’amore, la solitudine e la vecchiaia.

Bolla de sapone

Lo sai ched’è la Bolla de Sapone?
l’astuccio trasparente d’un sospiro.
Uscita da la canna vola in giro,
sballottolata senza direzzione,
pe’ fasse cunnalà come se sia
dall’aria stessa che la porta via.

Una farfalla bianca, un certo giorno,
ner vede quela palla cristallina
che rispecchiava come una vetrina
tutta la robba che ciaveva intorno,
j’agnede incontro e la chiamò: – Sorella,
fammete rimirà! Quanto sei bella!

Er celo, er mare, l’arberi, li fiori
pare che t’accompagnino ner volo:
e mentre rubbi, in un momento solo,
tutte le luci e tutti li colori,
te godi er monno e te ne vai tranquilla
ner sole che sbrilluccica e sfavilla.-

La bolla de Sapone je rispose:
– So’ bella, sì, ma duro troppo poco.
La vita mia, che nasce per un gioco
come la maggior parte de le cose,
sta chiusa in una goccia… Tutto quanto
finisce in una lagrima de pianto.

Il poeta utilizzava per le sue poesie il dialetto romanesco: un linguaggio non esistente ma simile a quello odierno, più prossimo alla lingua italiana.

Danilo Zuliani e Stefano Germani nel loro “recitare” i versi del poeta regalano al pubblico una serata di insegnamento giacché Trilussa è un autore che, nel suo narrare, appare contemporaneo. La società, infatti, continua ad avere gli stessi vizi e le stesse virtù, nonostante il trascorrere del tempo e della storia.

La zampana

Mentre leggevo l’urtimo volume
de la Storia d’Italia, una Zampana
sonava la trombetta intorno ar lume.
Io, sur principio, nun ce feci caso:
ma quanno m’è venuta sotto ar muso
pe’ pizzicamme er naso,
ho preso er libbro e, paffete, l’ho chiuso.

Poi l’ho riaperto subbito, e in coscenza
m’è dispiaciuto de vedella sfranta
a paggina novanta,
fra le campagne de l’Indipendenza.
M’è dispiaciuto tanto che sur bordo
der fojo indove s’era appiccicata
ciò scritto ‘st’epitaffio pe’ ricordo:

«Qui giace una Zanzara
che morì senza gloria,
ma suonò la fanfara
per restar nella Storia.»

In Italia, a un dipresso,
se pô diventa celebri lo stesso.

Il poeta, attraverso un’ironia e un sarcasmo di stampo “sociale”, raccontava l’esistenza con semplicità e, a volte, in modo quasi cruento perché privo di artifici.

Le favole, in Trilussa, furono ribaltate e utilizzate per raccontare delle storie in cui la morale era, tuttavia, corrotta.

La carriera der porco

Una vorta un Maiale d’ingegno,
che veniva da un sito lontano,
chiese aiuto a un Somaro italiano
de trovaje un impiego in città.
Er Somaro je disse: – M’impegno
volentieri de datte ‘na mano
se me dichi per filo e per segno
qual’è l’arte che mejo sai fa’.

Vendi er vino? – Nun posso soffrillo,
me fa male soltanto a odorallo.
– Sei droghiere? – Nemmanco a pensallo!
So’ nervoso e nun pijo caffè.
Sei tenore? – Pe’ gnente! Se strillo
me viè fòra la voce der gallo…
– Se è così torna a casa tranquillo
ché ‘sti posti nun fanno pe’ te.

– Io, però, – disse allora er Maiale –
faccio er porco, e de più ciò pe’ moje
la più bella fra tutte le troje,
co’ cert’occhi che fanno incantà.
L’ho sposata, ma è un nodo legale
ch’ogni tanto se lega e se scioje…
– S’è così – disse er Ciuccio nostrale –
resta qui. ché l’affare se fa.

Con una scrittura tagliente, attraverso la voce di Danilo Zuliani e Stefano Germani, Trilussa suscita con i suoi versi un sorriso ma che è anche un giudizio sugli altri e su noi stessi: quanto si è distanti dalla rappresentazione degli esseri umani che il poeta, con le sue poesie, raccontava?

La maschera

Vent’anni fa m’ammascherai pur’io!
E ancora tengo er grugno de cartone
che servì p’annisconne quello mio.
Sta da vent’anni sopra un credenzone
quela Maschera buffa, ch’è restata
sempre co’ la medesima espressione,
sempre co’ la medesima risata.
Una vorta je chiesi: – E come fai
a conservà lo stesso bon umore
puro ne li momenti der dolore,
puro quanno me trovo fra li guai?
Felice te, che nun te cambi mai!
Felice te, che vivi senza core! –
La Maschera rispose: – E tu che piagni
che ce guadagni? Gnente! Ce guadagni
che la gente dirà: Povero diavolo,
te compatisco… me dispiace assai…
Ma, in fonno, credi, nun j’importa un cavolo!
Fa’ invece come me, ch’ho sempre riso:
e se te pija la malinconia
coprete er viso co’ la faccia mia
così la gente nun se scoccerà… –
D’allora in poi nascónno li dolori
de dietro a un’allegia de cartapista
e passo per un celebre egoista
che se ne frega de l’uminità!

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