Sulle Ali dello Sport: Giuseppe Giannini

Essere capitano vuol dire perseguire uno scopo con tutti i sacrifici del caso e con lo spirito di abnegazione che porta ad addossarsi sulle spalle tutte le responsabilità di un’impresa ma anche le fatiche della vita quotidiana; gioie e dolori, onori ed oneri, ansia e serenità. Giuseppe Giannini, tecnicamente ed umanamente il Principe come amarono chiamarlo i suoi allenatori preferiti, Carlo Mazzone e Azeglio Vicini, ha rappresentato l’incarnazione del campione umile, e proprio per questa motivazione, è stato sottovalutato e talvolta denigrato nel mondo del calcio. Ma il pianeta del pallone si sostanzia in un piccolo spaccato dell’attuale società dove la modestia e la bontà sono divenute sinonimo di sconfitta e debolezza e non vengono nemmeno più pronunciate, al fine di elevare il falso mito dei vincenti a tempo determinato. L’arroganza viene elevata a mito e si pone invece a tutti gli effetti come madre di situazioni che producono invidie e tensioni che non fanno crescere, nemmeno nello sport. Peppe ha sempre messo in evidenza il suo orgoglio di essere romano e romanista, senza esternare mai parole od atti di superbia; spesso presunti pennivendoli della carta stampata gli hanno procurato difficoltà, stigmatizzando la sua schiettezza e sincerità. E infatti torniamo a bomba sul nostro discorso che si ricollega al fatto che nella fase attuale regnano i disvalori dell’adulazione e della falsità,nonostante fosse davanti agli occhi di tutti una magistrale interazione di corpo, anima ed intelletto: la completezza per un professionista dell’attività fisica. Dicevamo i disvalori dell’apparenza e di una teatralità ieri di esultanze scomposte, oggi di tatuaggi.Coloro che non sposano queste prerogative finiscono per essere emarginati, perché psicologicamente prendono la forma di uno specchio di trasparenza. E l’onestà e l’etica dei giusti dà fastidio. Il principe era, è e sarà sempre vero. Lasciamo perdere coloro che sbandierano il vessillo dell’arruffianamento e concentriamoci sulla figura di un personaggio esemplare che vedeva la palla, il compagno e l’azione successiva ancor prima di toccare la sfera bianca. Ragionamento, fantasia, creatività e estetica nei movimenti, nei passaggi e nelle reti realizzate ne hanno fatto un calciatore di carattere, qualità e grandi numeri che purtroppo però ha vinto in misura minore rispetto ad altri romani che hanno indossato la maglia giallorossa. Quindici anni di Roma vissuti con intensità e passione, interrotti soltanto quando l’allora presidente Franco Sensi decise di estrometterlo dai progetti futuri per una incomprensibile idiosincrasia e per una mai afferrata carica di risentimento verso il ragazzo talentuoso che aveva dato tanto fino a quel momento alla capitale ed al pubblico romano in termini di grinta, cuore ed impegno. Parallelamente con la sua attività in nazionale il principe si è tolto molte soddisfazioni, risultando un punto di riferimento per l’allenatore Vicini e per i compagni; dopo l’under 21 ha disputato 47 incontri nella compagine maggiore, risultando uno dei gladiatori più convincenti grazie alla continuità ed alle sue prestazioni brillanti. Rammentiamo anche oggi, come facemmo a suo tempo con Vicini, la grande delusione determinata dall’uscita in semifinale con l’Argentina nel corso dei mondiali del 90. A nostro giudizio una squadra che in grado di esprimere ed elaborare quel calcio, capace di unire tecnica, fantasia e forza non si è più vista, nemmeno nell’Italia di Lippi che si laureó prima con un calcio scadente. Se si fosse giocata a Roma la semifinale, staremmo a parlare di un’altra storia, ma purtroppo si scelse Napoli e buona parte dei cittadini fece una scelta di campo a favore di Maradona. In un documentario realizzato anni fa dal bravo giornalista Michele Plastino, Giannini seduto dagli spalti della tribuna osserva il campo deserto, forse per connettersi meglio ai ricordi, alla giostra della memoria come la chiamerebbe Enrico Ruggeri e per riflettere su quello che poteva essere, su quello che è stato effettivamente e sulla bellezza della vita in tutte le sue espressioni nonostante la stessa oltre a sorprenderci ci colpisca tante volte anche negativamente. Con dignità e senza il gioco sensazionalista strappa lacrime che piace tanto ai mezzi di comunicazione odierni parla del suo rapporto con i tifosi: un amore forte, talvolta riservato, intimo, che lo ha spinto a non manifestarsi mai in forme troppo esplicite o ampollose e plateali, proprio perché Peppe dà ai valori ed al bene un significato che va al di là dei formalismi esteriori. Dice sempre a Plastino – se il calcio è tutto, la Roma è di più.

L’abbraccio con Renato Zero al principio della sua partita di addio trasmette musica ed armonia a coloro che abbracciano la propria città tutti i giorni anche se questa il più delle volte viene bistrattata nel resto della Penisola. Il cuore di questi personaggi così emblematici produce uno stimolo che riconnette l’essere umano all’attaccamento per le proprie radici. Perchè Roma città aperta risponde al nome di mamma.

Peppe ha conosciuto il sapore calcistico e il profumo dei campi d’erba fin da piccolo sia nella zona semicentrale del quartiere Trieste che in quella periferica di Frattocchie, fino a frequentare le squadre collocate nel versante appio-tuscolano. Nel 1981 incomincia la sua esaltante avventura in giallorosso, anche se la stessa è stata caratterizzata da alti e bassi a causa delle pressioni che il centrocampista ha spesso avuto su di sè, per colpa di una stampa che non si è dimostrata propriamente nè empatica nè comprensiva. E ritorniamo al suo carattere limpido e cristallino che ai guru dell’informazione non è mai andato giù. Carletto Mazzone, del quale ci siamo occupati nel passato, ha rivelato e rilevato quanto fra lui ed il capitano si fosse instaurato un rapporto di fiducia e stima reciproca, probabilmente alimentato da un’intesa figlia di lealtà ricambiate; come nel caso di Baggio e Totti, il giocatore è stato seguito come un figlio ed è stato rilanciato dal mister in un momento di difficoltà dovuta alle polemiche dei giornali romani, tranelli nei quali spesso e volentieri sono caduti gli stessi tifosi. Rudi Voeller rammenta la sintonia che si creò fra i due fin dal primo anno del tedesco a Roma, annata negativa per il giocatore teutonico che ebbe il principe vicino a sè. I due erano talmente amici che fecero una scommessa prima dei mondiali: se avesse vinto l’Italia, Voeller si sarebbe tagliato i suoi amati baffi, se si fosse imposta la Germania, Giannini avrebbe rinunciato ai capelli lunghi… sappiamo come finì. Fra gli ex della nazionale, il giorno dell’addio Walter Zenga si è detto felice della scenografia spettacolare riservata a Giannini, Nando de Napoli con un accenno di commozione ha voluto sottolineare quanto sia stato aiutato a centrocampo ma anche nella vita dal compagno di reparto; Gigi De Agostini ha ripescato dalla valigia dei ricordi le numerose partite a carte durante le serate in seguito agli allenamenti, Beppe Bergomi il capitano degli azzurri nel 90 ha testimoniato con parole eleganti e convinte la soddisfazione di aver avuto in squadra un elemento così carismatico, rammentando allo stesso tempo il sapore agrodolce di quelle notti italiane e magiche che hanno portato soddisfazioni ma anche amarezze per gli undici leoni. Sapore controverso condiviso da altri componenti della formazione azzurra come Tacconi Baresi, Carnevale e Ferri, che allo stesso tempo non hanno pensato un attimo a differenti impegni quando sono stati invitati alla partita di addio del principe, perchè il principe se lo merita e per lui si fa qualsiasi cosa, questa è la sintesi del messaggio di tutti coloro che lo hanno conosciuto e frequentato.

L’immagine finale di un Giannini commosso fra Bruno Conti, il passato, e Francesco Totti il futuro, rappresenta una fotografia che immortala la bellezza di una Roma viva e presente nelle persone che la tengono stretta dentro il cuore e che la domenica la dividono fra il fuoco di un calore di amore ed il giallo di un sole capitale.

La festa di addio è stata rovinata da cialtroni senza cervello che hanno invaso il campo, per una distrazione fatale della polizia e per l’apertura della porta di una curva. A noi interessa concentrarci su un fattore antropologico estremamente importante: si possono compiere tutte le più grandi gesta, accumulare denari, gloria e successo, ma quello che resta profondamente intatto negli individui si incarna nel grado di umanità che si diffonde con il comportamento etico e con la sincerità. Lo stesso Vicini lo ribattezzò il regista per i movimenti plastici, la tecnica, la visione di gioco e l’eleganza figlia di stile combinato all’intelligenza sportiva ed umana: il suo era un film bellissimo dove la concretezza andava di pari passo con la classe.

Francesco Totti fu investito da Giannini nella successione alla fascia, in quella pellicola cittadina che fotografó il passaggio dal principe al re dello scettro ubicato al di sopra del Tevere.

Nel 1990  Peppe arrivò vicinissimo alla vittoria del mondiale, nel 1991 ancora di più, ma perse la Coppa Uefa in finale con l’Inter giungendo imbattuto in semifinale a Italia 90 e in finale con l’Inter dove la sua squadra fu sconfitta solo a Milano, dopo aver sigillato positivamente tutti gli incontri europei e pareggiati gli altri. Anche in questo fattore è affascinante la sua storia, perché ci insegna che nella vita non sempre si vince anche quando lo si meriterebbe. Vinto sul campo ma vittorioso per le prestazioni e l’umanità. E resta fisso quello sguardo di ragazzo timido ma determinato che sopra il numero 10 ha caricato le tensioni, le ansie e le gioie di una curva spettacolare e che per troppo amore a volte ha vissuto delle incomprensioni con il suo pubblico. Come quando un ragazzo troppo innamorato teme di confessare tutto alla sua bella. Ma con il comportamento Peppe ha rappresentato un esempio ed una luce per la città; la carriera da allenatore per ora non ha brillato a causa di tanta sfortuna, ma noi ci auguriamo di vederlo presto sulla panchina della Roma. Quello che conta è volare sulle Ali dello sport e sognare un calcio più pulito magari con un ritorno di personaggi all’altezza di Principi registi.

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