“Supremacy – La razza eletta” di Deon Tayler: la recensione.

Supremacy La razza eletta
È disponibile dal 6 luglio sulle principali piattaforme on demand il film “Supremacy – La razza eletta” del regista Deon Tayler.
L’opera racconta la turbolente nottata di una famiglia afroamericana presa in ostaggio da una coppia razzista e in balia della droga.
Nel 1992 Garrett Tully (Joe Anderson) esce di prigione dopo aver scontato una pena di 15 anni per rapina a mano armata. Ad attenderlo all’uscita dal carcere vi è una donna (Dawn Olivieri), mandata ad accoglierlo dalla Nazione Ariana, associazione a cui entrambi sono associati.
Non tutto, però, procede come previsto e la vicenda assume subito i contorni sfocati della violenza.
Garrett, alla presenza della donna, in balia della droga, uccide senza un valido motivo un poliziotto, colpevole solo di averlo fermato mentre era in macchina. I due si rifugiano in una casa, prendendo come ostaggi una famiglia afroamericana e da protezione la casa diviene luogo di un conflitto razziale, ambiguo e labile. Le problematiche della stessa famiglia si intersecano con la vicenda creando un “calderone” di pseudo – emozioni che si rivelano fallaci per la narrazione.
Il patriarca (Danny Glover), nel frattempo, ex detenuto, chiede alla famiglia di mantenere la calma, mentre il “giovane” della casa vuole intervenire: il divario generazionale sfocia in tragedia.
La storia, nella sua dinamica, incomincia immediatamente e solo successivamente si comprende l’excursus della vicenda, suscitando spaesamento nello spettatore. La musica viene utilizzata come espediente per enfatizzare i differenti momenti ma la mancanza di una buona tensione narrativa impedisce alla storia di evolversi per divenire originale.
“Supremacy – La razza eletta” è un film, a tratti, estenuante, senza una trama sostenuta in grado di reggere il racconto e con troppi elementi: criminalità, razzismo, psicologia e catarsi sono solo alcuni degli aspetti su cui il film indugia.