Teniamo lo smart working anche dopo il Coronavirus

Da un paio di settimane moltissimi lavoratori si sono ritrovati a lavorare da casa, sperimentando il famoso “smart working”, letteralmente “lavoro intelligente”, chiamato anche “telelavoro” e “lavoro da remoto”.

Se in alcuni Paesi del mondo e in alcune aziende (anche italiane) lo smart working è un metodo di lavoro ampiamente utilizzato, per la stragrande maggioranza degli italiani sembra un concetto nuovo e del tutto sconosciuto.

Lavorare da casa significa svolgere lo stesso tipo di occupazione che si svolge in ufficio, senza essere fisicamente presenti in ufficio.

Molti lavori che si basano sul terminale possono diventare totalmente o in parte lavori da remoto, senza alcuna ripercussione sulle disposizioni del proprio contratto lavorativo: ferie, malattie, maternità, paga oraria e stipendio mensile rimangono dunque invariati.

Il telelavoro può essere un ottimo antidoto alla piaga sociale del licenziamento delle lavoratrici subito dopo o prima del periodo di maternità, in quanto le donne potrebbero conciliare meglio le esigenze dei loro figli a quelle lavorative, potendo contare su un sistema che permette loro di lavorare da casa se munite di computer e strumentazione adeguata alle loro mansioni.

È compito e raccomandazione, quindi, delle aziende attrezzarsi per far sì che il telelavoro diventi un modo di lavorare accettato e parallelo al classico lavoro in ufficio, qualora alcuni lavoratori lo richiedano. Ovviamente lavorare da casa può comportare alcuni svantaggi dal punto di vista sociale se perdura nel tempo: alcuni studi dimostrano che il telelavoro diminuisce lo stress da spostamento (che in media può raggiungere fino alle due ore calcolando tempi di a/r dal luogo di lavoro), aumenta la creatività e la produttività e meglio concilia la vita familiare a quella lavorativa; tuttavia, gli esperti non raccomandano più di un paio di giorni di telelavoro per settimana, in quanto lavorare in un ambiente con poche interazioni sociali può causare senso di isolamento, depressione e ovviamente noia. Dunque, tralasciando le donne che possono usufruire di questa flessibilità dopo il parto, il resto dei lavoratori dovrebbero chiedere di lavorare da casa per ragioni motivate e saltuarie, come per esempio una momentanea indisposizione propria o di un parente o alcuni lavoretti da eseguire in casa (la classica caldaia in inverno). È, inoltre, importante fare pause di 5 minuti ogni 30 di lavoro, cercare di parlare con i colleghi e crearsi un ambiente favorevole alla creatività (io per esempio uso la musica).

Mi auguro dunque che, finita l’emergenza, alcune scoperte possano continuare a rimodellare il nostro classico approccio al lavoro.

Martina Seppi

Immagine: Foto di Andrian Valeanu da Pixabay

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