Trump e lo shutdown che sta paralizzando l’America: politica miope verso il Messico

Continua il periodo di shutdown causato dal Presidente Americano Donald Trump a seguito della mancata intesa tra forze repubblicane e democratiche per il finanziamento della costruzione di un secondo muro con il Messico.

Definito il più lungo nella storia americana, questo periodo di stallo sta costando caro a circa 800 mila dipendenti federali che da più di 20 giorni lavorano senza stipendio. Numerose biblioteche, parchi nazionali quali Yellowstone e scali aeroportuali sono chiusi a causa della mancanza di personale, mentre nessuna delle due forze politiche sembra dare segnali di cedimento in merito alle proprie posizioni sul Messico. Di sicuro questo estenuante periodo di stallo si risolverà solo mediante trattative oneste tra i due partiti, dato che Trump ha raramente dato prova di fare marcia indietro di fronte alle richieste delle forze politiche opposte o a volte interne ai repubblicani. D’altro canto, i democratici cercano in tutti i modi di tirare acqua ai loro mulini in vista delle prossime elezioni presidenziali ( diversi i candidati auspicati dai media, da George Clooney a Michelle Obama passando per Angelina Jolie) e mettono quindi in risalto le politiche miopi di Trump verso il vicino Messico, accusandolo di non avere un vero piano politico di risoluzione del problema dell’immigrazione illegale alla frontiera meridionale americana se non l’idea nata da un Tweet della costruzione di un muro (tra l’altro già esistente). Tuttavia, urge una maggiore riflessione riguardo al problema del Messico e, in certi casi, dell’intero Sud America. Questa zona è stata sempre caratterizzata da regimi politici instabili, dittatoriali o incapaci di portare avanti dei piani di sviluppo concreto dei propri Paesi con la logica conseguenza che milioni di sudamericani sono stati spinti verso il Paese più ricco e più a loro vicino, non dissimile dalla logica che due forze opposte (povertà contro benessere) finiscono per attrarsi.

Se da una parte migliaia di famiglie latine hanno emigrato in cerca di condizioni economiche più favorevoli, possibilità di istruzione per i figli, migliore sanità e migliori condizioni lavorative, altri hanno approfittato di questa migrazione per arricchirsi col business della droga, delinquenza e traffici vari gestiti in prevalenza dai cartelli messicani, essendo il punto mediano tra domanda (Stati Uniti) ed offerta (Sud America). L’immigrazione di massa è il risultato di una situazione insostenibile nel Paese di provenienza; non ha alcun senso affidarsi all’ONU e ad altre illustri organizzazioni internazionali quando ci sono Paesi che per decenni non hanno fatto passi in avanti nella loro gestione interna. Non ha senso riempire conferenze internazionali di parole vuote quando non ci sono dei veri interventi di cambiamento dei governi locali. Sebbene il diritto internazionale proibisca ad uno Stato sovrano di intervenire con la forza per modificare la politica di un altro Stato sovrano, non preclude a questo stesso Stato di attivarsi economicamente  e politicamente per creare nell’altro Stato un clima politico ed economico più favorevole, in questo caso, per smorzare il crescente divario tra Nord e Sud America che inevitabilmente porta la gente ad emigrare. In questo aspetto, la politica americana si porta dietro decenni di incuria nei confronti dei vicini paesi (poveri) del Sud America che poi ha sfociato in problemi di sicurezza nazionale, di gestione delle frontiere e di violazione dei diritti umani.

Da un punto di vista morale, lo shutdown dovrebbe servire a ricordare le cause del problema dell’immigrazione illegale, cosa che sia Trump sia il partito democratico si guarderanno bene dal menzionare.

Martina Seppi

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