“Turandot” alle Terme di Caracalla: la recensione
Un imponente cornice storica, le Terme di Caracalla che diventano come da tradizione il palco estivo del Teatro dell’Opera di Roma.
Un set unico presente dal 1937, in continua metamorfosi. Allestito in questa stagione estiva 2024, dai noti architetti Massimiliano e Doriana Fuksas ad omaggiare Giacomo Puccini.
Sulla scena l’apparizione dei personaggi contrasta per il colore cangiante degli abiti sulllo sfondo di un bianco totalizzante, un frattale, una linea geometrica come un grandissimo fiocco di neve. Una festa per i 100 anni dalla scomparsa del compositore italiano con la sua Turandot, interpretata dall’orchestra dell’Opera di Roma e dal direttore Donato Renzetti, con la regia e gli allestimenti di Francesco Micheli.
‘Popolo di Pechino! La legge è questa: Turandot, la Pura, sposa sarà di chi, di sangue regio spieghi i tre enigmi ch’ella proporrà’
Ha inizio il grande classico, nelle molte visioni della nota Roma antica ma la spettacolarizzazione ha il sopravvento. Sono i fasci di luci hi _ tech a toccare i ruderi delle antiche terme. Delle proiezioni accendono alternativamente la scena e il sito archeologico.
Effetti speciali abbandonano lo spettatore alle sensazioni mistiche nella visione di un mondo parallelo, in cui l’unico punto fisso, onnipresente è Lei: Turandot. Da tradizione una donna crudele, carnefice ma anche vittima per la sua mancanza d’amore.
Ma chi è la protagonista nella società attuale?
Tra le strade sovraffolate delle capitali orientali e occidentali, per le nuove generazioni prevale l’alienazione e il tedio alternato alla paura di vivere. Un’ansia perenne senza uscita senza fuga, allontanata solo per un’istante dalla gamification, la continua challenge di un gioco in cui siamo tutti perdenti. Eccoli lì, annoiati tra le pareti della propria dimora a guardare il punto fisso di uno schermo nel non luogo assoluto del meta verso ed è cosi la principessa moderna. Uccide in maniera spietata i suoi amanti con i click del gameover.
Definita dal regista Francesco Micheli “una hikikomori”, Angela Meade interpreta Turandot vestita da cyberpunk negli anfibi bianchi con i lacci blu elettrici, un corpo esile avvolto da un vestitino e un’acconciatura da manga. L’isolamento, la costante mancanza di stimoli e la ricerca dell’adrenalina nella società del consumo.
Tra gli enigmi e il classico “all’alba vincerò” si conclude come nella tradizione senza un vero finale la grande tragedia pucciniana.