Venezia 76: Recensione del film “The Painted Bird” di Václav Marhoul

The Painted Bird

Regia: Václav Marhoul
Produzione: Silver Screen (Václav Marhoul)
Durata: 169’
Lingua: esperanto slavo, ceco, russo, tedesco
Paesi: Repubblica Ceca, Ucraina, Slovacchia
Interpreti: Petr Kotlár, Udo Kier, Lech Dyblik, Jitka Čvančarová, Stellan Skarsgård, Harvey Keitel, Julian Sands, Barry Pepper, Aleksey Kravchenko
Sceneggiatura: Václav Marhoul
Fotografia: Vladimir Smutny
Montaggio: Ludek Hudec
Scenografia: Jan Vlasak
Costumi: Helena Rovna
Suono: Pavel Rejholec
Effetti visivi: Viktor Müller
Note: 14+

Tratto dal famoso romanzo di Jerzy Kosinski, The Painted Bird è una pellicola 35mm girata in bianco e nero, una meticolosa evocazione della selvaggia, primitiva Europa dell’Est alla fine della sanguinosa Seconda guerra mondiale. Il film ripercorre il viaggio del Ragazzo, affidato dai genitori perseguitati a un’anziana madre adottiva. Presto, però, l’anziana donna viene a mancare e il Ragazzo rimane solo a vagare per le campagne e a spostarsi tra villaggi e fattorie. Nella sua lotta per la sopravvivenza, il Ragazzo è esposto all’atroce brutalità messa in atto dai superstiziosi contadini locali e assiste alla violenza inaudita dei soldati russi e tedeschi, efficienti e spietati. Al termine della guerra, il Ragazzo è cambiato, per sempre.

Credits: Lorenzo Mattotti per La Biennale di Venezia

Recensione

Un film interamente in bianco e nero, in cui l’ambiente circostante è simulacro dello stato d’anima del protagonista, il Ragazzo, di cui solo al termine dell’opera conosceremo il nome.

Un ragazzo come tanti in una guerra tra popoli in cui l’ignoranza è la sua maestra.

Lasciato dai genitori a casa di una zia per la sua sicurezza, si ritrova improvvisamente solo. La zia muore, in un paesaggio desolante e freddo. Preso dallo spavento brucia, inconsapevolmente, l’abitazione ritrovandosi solo in un’Europa dell’Est alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Si incammina alla ricerca di casa ma lungo il viaggio conoscerà gli orrori, la brutalità di cui l’uomo è capace. Nessuno sembra riuscire a dare conforto al Ragazzo, senza volere nulla in cambio.

I contadini lo vendono ad una maga del posto, in quanto intravedono in lui il diavolo. La vecchia lo utilizzerà come aiutante per le sue “magie” e come tuttofare.

Il mugnaio che non lo vuole in casa, in quanto crede che egli sia fautore di malaugurio, caverà gli occhi all’uomo che considera l’amante della moglie, costringendo il Ragazzo a fuggire.

Incontra Lekh, un venditore di uccelli, ma anche lui si rivelerà inutile al ragazzo: si impiccherà in seguito alla morte di una prostituta, sua amante.

Continua il suo cammino ma viene catturato e dato ai “cucchi” come ebreo; si salva solamente perché il soldato che doveva ucciderlo lo lascia scappare. La brutalità della vita, intanto, si dispiega interamente davanti ai suoi occhi, con la popolazione che tenta di scappare dal treno ma viene brutalmente uccisa dai soldati; neanche un bambino di pochi mesi viene risparmiato.

Gli occhi del Ragazzo si assuefanno alla violenza, ne diviene parte. È necessario sopravvivere.

Un prete cerca di salvarlo ma lo affida alla persona sbagliata, colui che abuserà ripetutamente di lui, finché il Ragazzo riuscirà a farlo morire, mangiato dai topi.

Il Ragazzo ha ormai perduto la parola; gli unici suoni che ascoltiamo sono i suoi pianti, mentre viene violentato.

Incontra una ragazza, Labina, che gli dice che può restare. Sembra un momento di pausa dal mondo ma anche lei vuole qualcosa in cambio: vuole che il ragazzo la baci e faccia sesso con lei. Quando lui non riesce nel compito lo rifiuta, nonostante i suoi tentativi di avvicinamento, finché nuovamente il ragazzo va via.

I comunisti lo trovano e un soldato si prende cura di lui per un breve periodo, finché non viene portato in un orfanotrofio, con tutti tutti gli altri orfani di guerra.

In fondo al cuore, il Ragazzo è rimasto un bambino: un cavalluccio in legno continua ad attirare la sua attenzione e un pianoforte gli fa immaginare di suonare delle note mute. C’è forse ancora speranza.

Un senso di orrore pervade l’intera pellicola, caratterizzata da pochi dialoghi. Il paesaggio rispecchia la brutalità dell’essere umano, fino ad assuefarsi totalmente ad essa.

Anche lo spettatore smette di reagire e di provare emozioni, così come il protagonista sembra abituarsi alla realtà e allo stato brado della popolazione. Cosa c’è di peggio di essere circondati dall’orrore e di non riuscire più a provarne ribrezzo?

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