Venezia 76: recensione del film “The Perfect Candidate” di Haifaa Al Mansour

The Perfect Candidate

Regia:

Haifaa Al Mansour
Produzione: Razor Film Produktion (Gerhard Meixner, Roman Paul), Haifaa Al Mansour’s Establishment for Audiovisual Media (Haifaa Al Mansour)
Durata: 101’
Lingua: arabo
Paesi: Arabia Saudita, Germania
Interpreti: Mila Alzahrani, Dhay, Nourah Al Awad, Khalid Abdulrhim
Sceneggiatura: Haifaa Al Mansour, Brad Niemann
Fotografia: Patrick Orth
Montaggio: Andreas Wodraschke
Scenografia: Olivier Meidinger
Costumi: Heike Fademrecht
Musica: Volker Bertelmann
Suono: Uve Haußig
Regia: Haifaa Al Mansour

La candidatura inaspettata di una giovane e determinata dottoressa saudita alle elezioni comunali sconvolge la sua famiglia e la comunità locale, che si misura con la difficoltà di accettare la prima candidata donna della città.

Recensione

Un film per le donne che dovrebbe, tuttavia, essere visto soprattutto dagli uomini. Un film sulle donne che appare già visto e superato ma di cui in realtà abbiamo sempre bisogno, anche noi occidentali considerati emancipati.

La protagonista è la giovane e coraggiosa Maryam, dottoressa in un ospedale, la cui strada dismessa impedisce un repentino aiuto da parte degli addetti agli ammalati. Per Maryam la strada da sistemare diventa un chiodo fisso tanto da essere pronta a tutto: anche a candidarsi al consiglio comunale.

Per poter comprendere il film è necessario capire in quale tipo di comunità esso è ambientato; per noi occidentali osservare una donna candidarsi in politica non è affatto motivo di scandalo o disagio familiare ma per Maryam e la sua famiglia, composta dalle due sorelle e dal padre, la situazione appare molto grande ed oggetto di chiacchiere e preoccupazioni.  Le donne, nel mondo saudita, stanno acquistando maggiori diritti ma rimangono comunque considerati dalla società esseri inferiori: non possono parlare in pubblico con gli uomini, hanno la necessità di avere un tutore per ottenere il permesso di viaggiare e devono chiedere al marito chi votare. Le donne, quindi, alle quali Maryam si rivolge non hanno la possibilità di farla vincere nel consiglio comunale ed ella rendendosi conto di ciò decide di orientarsi verso gli uomini con cui, in realtà, non potrebbe parlare in pubblico.

Il microcosmo familiare è composto dal padre, musicista, appena partito in tournée con la sua banda, dopo anni di lavoro come suonatore nei matrimoni, dalla sorella Selma, fotografa, che inizialmente non appoggia Maryam, ma successivamente cambia idea vedendo la sua tenacia e dalla sorella minore, contraria alla sua candidatura in quanto oggetto di vergogna e malelingue.

“Dobbiamo provare”: questo dichiara Maryam a chi le domanda il perché del suo gesto e in questo sta la sua forza. Tenta di farcela, nonostante l’ostacolo insormontabile che la società le mette davanti e le titubanze delle persone che le stanno accanto (anche nel suo stesso staff c’è chi dichiara apertamente che non andrà a votare in quanto è qualcosa che non fa – è una donna).

La normalità che il film possiede per noi occidentali consente di capire l’opera stessa: bisognerebbe essere consapevoli del ruolo e del valore che le donne, così come ogni altro essere umano, hanno; un valore che dovrebbe essere naturalmente ovvio e accettato. L’emblema della determinazione e della forza di Maryam risiede nel vecchio paziente che inizialmente non vuole essere visitato e curato da lei in quanto donna, preferendole gli infermieri e che successivamente dichiara di averla votata e che avrebbe senz’altro meritato la vittoria (lei gli ha salvato la vita e lui si è reso conto del suo valore).

Maryam risponde che sì, avrebbe meritato di vincere. Cosa c’è di più onesto  e semplice da dichiarare se non il proprio libero pensiero, frutto della consapevolezza di sè stessi?

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