“Castello a Orologeria – Nuovo Ciclo (di Krebs)”: mostra collettiva di Dolomiti Contemporanee al Castello di Andraz a Livinallongo del Col di Lana dal 29 luglio al 29 ottobre 2023

Castello a Orologeria

Sabato 29 luglio, alle ore 17.00, presso il Castello di Andraz a Livinallongo del Col di Lana (Belluno), Dolomiti Contemporanee inaugura la mostra collettiva Castello a Orologeria – Nuovo Ciclo (di Krebs).

Dolomiti Contemporanee (DC) opera dal 2011 nel territorio dolomitico, individuando eccezionali siti-risorsa, e dando un impulso alla loro valorizzazione, rigenerazione, trasformazione, attraverso le tecniche e gli strumenti della cultura e dell’arte contemporanea. Si contribuisce alla cogenerazione dei Paesaggi contemporanei, attraverso una visione proiettiva di Paesaggio e Patrimonio. Il Patrimonio ambientale, culturale, storico, d’architettura. Questi siti nevralgici, non sempre pienamente espressi – a volte poco, a volte per nulla – non vengono affrontati individualmente, ma attraverso una visione d’insieme, una politica organica, che costruisce una geografia critica reinterpretativa, aperta, seminale, propulsiva.

Nel 2013, DC realizzò una prima mostra collettiva d’arte contemporanea al Castello di Andraz, dal titolo et un’oseliera et non vi è. Questi spazi eccezionali si prestano in modo straordinario all’interazione con il contemporaneo, che sa leggerli ed interpretarne i valori estetici, e l’enorme potenziale di suggestione e stimolo tematico. Ora, grazie ad una ribadita collaborazione con l’Amministrazione di Livinallongo del Col di Lana e con gli enti territoriali, DC torna a Buchenstein.

Nell’estate/autunno 2023, andrà dunque in scena la mostra Castello a Orologeria. Gli spazi del Castello ospiteranno le opere della Squadra Cobra, una falange di dieci artiste e artisti basati a Bologna, che salgono in Fodóm, e attrezzano il Castello con una serie di opere installative, reazioni sonore, interventi disseminativi, mutuando i temi dal territorio e dall’immaginario creativo. La mostra include i lavori di Sergia Avveduti, Alessandro Brighetti, Paolo Bufalini, Luca Campestri, David Casini, Mattia Pajè, Giulia Poppi, Marcello Spada, Ivana Spinelli, Andrea Renzini.

La mostra sarà inaugurata sabato 29 luglio 2023. Nel corso dell’opening, si realizzerà la performance Sonic Set Pantone, eseguita da Andrea Renzini insieme al musicista Stefano Passini, che si sviluppa attraverso l’uso di pennarelli Pantone scarichi e consunti.

Orari di mostra:
agosto: aperto tutti i giorni, in orario 10:00/12:30 e 14:30/18:00
le domeniche di agosto: orario esteso dalle ore 10:00 alle 18:00
settembre: aperto dal giovedì alla domenica, in orario 10:00/12:30 e 14:30/18:00
ottobre: aperto dal venerdì alla domenica, in orario 10:00/12.30 e 14:00/17:00

Partner dell’iniziativa:
Castello di Andraz, Comune di Livinallongo del Col di Lana, Istitut Cultural Ladin Cesa de Jan, Arabba Funivie, Arabba Fodom Turismo, Vigili del Fuoco Volontari di Livinallongo, Ristorante la Baita, DB Group, Vini Biasiotto, Caffè Bristot, Speck Unterberger, Panificio Marcon

INFO

Dolomiti Contemporanee

press@dolomiticontemporanee.net

www.dolomiticontemporanee.net

Castello di Andraz

www.castellodiandraz.it

Un Castello ad Orologeria

A Clockwork Fortress.

Sale la Squadra Cobra a Buchenstein: qualcosa di diverso. Una cosa completamente inaspettata. In che senso? Non siamo i Monty Python, quant’è limpida e composta questa sonora risata argentina.

Il Castello è un organismo di cultura. Ecco dunque che è la stessa cultura, questa concentrazione nel palpito, a dovere far respirare l’organismo di cui esso è fatto, da cui esso è scavato.

La cultura cos’é? Una riorganizzazione continua, e critica, e plastica, dei contenuti: se non li vuoi inchiodare fissi ad un’immagine determinata, che ne annulla il flusso produttivo.
La cultura è un flusso, non un oggetto.

Il contemporaneo è un medium che contra la realtà, rivoltandone le zolle (se coltivi e curi).

Così facendo, egli non si limita a tenere, ma muove, un’identità. Aggiornandola, al presente, al futuro: dilatandone lo Spazio (il Senso).

Se l’identità di un ente (una cosa; una persona) è un fatto dato, quell’ente sarà chiuso e probabilmente muto, un oggetto compiuto, dato una volta per tutte.

E quindi: un dato passivo, disinnescato, rispetto ad una prospettiva organica, accrescitiva, evolutiva, mutogena.

Da qui povremmo arrivare a capire a cosa valga una pietra sepolta nella notte nera.

Se dunque l’identità è organica agli uomini e ai suoi sistemi e ai suoi paesaggi, allora essa deve, mantenendosi, cambiare: con gli uomini, nei paesaggi.

Anche i paesaggi devono cambiare sempre: i paesaggi sono gli uomini, con le loro anime, culture, azioni, proiezioni.
Ecco, il Ciastello è un proiettore. Cosa proiettiamo? Un fascio vivido e sinuoso, ma della conturbanza meccanica di queste spire avvolgenti diciamo tra un attimo, qui conta la premessa, la premessa è parte della sostanza.

Il Castello marca un’identità, storica culturale.
L’identità che c’è, abbiamo detto, quindi, deve muoversi sempre.
Se si accoglie l’idea che l’identità d’un oggetto relato sia viva, allora essa va di certo e di continuo trattata, sciolta, spinta, sviluppata, modellata.
Siccome è viva, essa prende e determina sè stessa, attraverso i moti costruttivi, in varianza, nelle spire.

Viceversa, se manca un’identità fluida, organica alla storia, ecco una paralisi dell’oggetto, che s’ingolfa, mentre ne ripetiamo una radice, la ripetiamo invariata, impedendole di mutare, alterarsi, accogliere, sviluppare, adattarsi, integrare, includere, aumentare. Trasformare.

Quindi, si può dire ancora, ripetiamolo: è la cultura a far respirare gli oggetti di cultura.

E allora, respirala.
Eccolo qui, questo Nuovo Ciclo di Krebs.

Come dire un metabolismo poietico spiraliforme.
Si vuole un altro reagente, ma stavolta non si tratta del fuido rigenerante di Herbert West.

Per produrre una catena respiratoria, che non riguardi prevalentemente i vegetali, ma i produttori mentali, gli psicoplastìdi, potremmo dire.
Qua gli aliti aneliti coincidono con i lavori stessi degli artisti e artiste: sono questi gli atomi della rivoluzione, del movimento intendiamo, sono i chiodi e le viti e gli ingranaggi che muovono il Tempo dello Spazio: questo Spazio deve immergersi e proiettarsi nel tempo in tutte le direzioni, e la dimensione da privilegiarsi è quella che non c’è ancora, dato che l’altra c’è già, e ci aspetta: dunque avanti, queste filettature allargano stringendo.All’improvviso, la Squadra Cobra ha respirato Andraz.

Questi metaboliti contemporanei, non automatici, antidecorativi.
Li abbiamo chiamati, ci siamo affiliati, sono venuti.
Hanno inziato ad esplorare il territorio, noi abbiamo inziato a dischiuderlo loro, perchè lo vedano, perchè vi entrino, perchè lo trattino, trasformandone i sedimenti.

Si sprigiona qui, grazie alla Squadra Cobra con DC, in quel Maniero che, dopo la metà del XV secolo, fu dimora di Niccolò Cusano, un’energia nuova, che tracima dai merli, scende sotto alla scorza mentre ne sgorga, galvanizza la polpa, attacca e raddoppia il nucleo, modifica i legami, porta in superficie certi acidi magmatici e corpi metallici sepolti, li distribuisce nelle nuove orbite rotanti, e così via.

Il ciclo dell’acito citrico, non serve mica a scardinare il filosofo Cardinale Principe Vescovo, al contrario. Questi enzimi geometrici riarchitettano il substrato, nutrendolo, variandolo, raddoppiandolo.Il ciclo dell’acido citrico? Nell’Arancia all’un percento (Kobralemon).
Una freccia all’arancia vien dal filosofo matematico: ecco ingegno e congegno.

Quella dotta ignoranza? Si preferisce riferirsi ad un sapere mobile, indotto.

Siamo in una mostra nel Castello, che è sì bello, mica un autosacello (alle volte il Bello pure si paralizza in contemplazione, facendo un vuoto).
Quindi c’è la necessità di alimentare (sempre nella cultura, che non è che un pasto: il pasto più nudo e vasto che ci sia: quello che si struttura nella fame, fame che è la tendenza a masticare sempre, non a saziarsi una volta per tutte).

Il Castello non è fermo, fermo non lo si vuole e deve andare, alle fonde e soprattutto avanti, senza fretta e giusto avanti.

Vogliamo meccanizzare la croda murata con alcune poesie precise d’alabarda, farne un’altra arma, non una tagliente lama manganesifera ora, non più; intendiamo arma come innesco, cane come grilletto, grillo come sinfonista, tosse come ritmo che riecheggi le pietre, e così via.

Arma, armozien, come congiungere adattare, creare e fornire lo strumento adatto, lo strumento giusto, per sommuovere ancora, e non contentarsi d’allora, non contemplare ma fare.
Un pò come se un’altra, l’ultima, sbrancata di armigeri, fosse venuta e prendere il Castello, ma anche a renderlo, a renderlo ancor più ciò che egli già è, coltivandone le radici a salire.
Questi armigeri quindi, non danno l’assedio da fuori, e invece aprono dall’interno, non è uno scasso questo, nè un vago rinzaffo: è un metodo, dell’anima, che produce una colla, che non è una pece nè un miele: ma il distillato cristallino, di un movimento tecno-anodino, dei bellicosi danzanti, portano velli lisergici e voci-colore.

Il Castello, rocca prodigiosa.
Mazzo glaciale, mezzo imperiare.

Il Canino di Morena Murato, ecco un sole viola bauginargli sulla Zanna Adunca, come sempre una benefica frizione si coglie, e un’impressione conturbante, quando l’uomo plasma le architetture del presidio, nel silenzio alto nel quieto deserto dell’alpe tranne che per le genti d’agosto, sì è benefico, tra le valli i boschi e i rù e le cime, questa rocca ne marca il tempo, un orologio di mille anni, va caricato.

Bisogna mitigare un poco quel sublime sorgente, occorre -si è scelto di farlo- dare una regola al ruminar poetico della rovina, alla stucchevole lettura romantica della sacra pietra isolata nella salvifica natura e nella storia retroversa: come un geranio nel vaso? Certochenò.

Ma insomma, queste son le premesse strutturali d’impianto, fuori meglio questo concetto sibilante.

E dunque ecco che abbiamo avviato le operazioni di ingegnerizzazione della rocca d’Andraz, che non sarà, per l’estate e l’autumno 2023, un Castello alla Bolognese: ma sì.

Il Nuovo Ciclo di Krebs.

Gli armigeri rilaminano le cotte, respirare ma lo fanno a partire da certe apnee, anche quelle necessarie, sono le tappe tra i sospiri, qui in realtà non si sospira affatto e si escono l’arie invece quando queste sono pronte (Ticchettio di Tamburi Tonanti o altri Sonici Sonagli Sorgenti?).
La Squadra Cobra in progressione, che porta una misura a scalare, ma non è una squadretta.

La Squadra Cobra, svelato il mistero, è un gruppo di artisti basati a Bologna, capitanati dal Capitano Andraz Renzaz e dal fido Fonico-palafreniere David Casini.

Qui ora, qui anche, si cerca una misura.
Lo diciamo da tempo.
La respirazione non è affatto un mero fatto biologico.
Mica una coazione si vuole, s’intende, e invece: respirare criticamente, scegliere l’aria, un’unghia di ferro a vibrarla.
Mentre scalare vuol dire due cose almeno, qua, anche questo va a martello: uno: salire è una cosa, vai su per quella parete, la stai scalando; due: dar scala ad un oggetto, ente, pensiero: vuol dire vederlo capirlo ‘tendiamo “misurarlo”, quindi tradurlo, in definitiva, ovvero rifarlo, per dirla tutta, senza gettarlo.

Quindi, inauguriamo una reazione a catene, Buchestein diviene una macchina innestata, da sempre esso controllò, meridiana armata, i flussi dei ferri pei domini imperiali, l’estrazione, il Fusil, trasporta, incrocia le lame, a Nord il Principe Vescovo, a Sud la Serenissima, tutto un cozzo tra le crode, dagli di taglio, perbacco, Capitano e Cusano, poi anche le industrie minerarie successive, ecco le industrie radicanti, lì di fronte a Rocca Pietore baluginano gli spit sul Sas de Ròcia di Laste, e a bivaccare tra le Nuvole quelle fulische ascendenti in correnti di stella come scorie di fucina astrale, poi scendi in Valle Imperina, e ci scendi con le tasche piene di siderite, e insomma per dire che: ci son le vene che corrono pel territorio, le arterie ramificate, il sangue della storia, che genera dei laghi, alcuni sono morti, altri no, non serve ogni diga.

Torniamo ancora alla dinameccanizzazione igienizzante della storia e della tradizione, e dell’oggetto e delle sue identità insature, che si vogliono cangianti.

Abbiamo detto che, venendo qui, prendiamo con la pinza (acciaio in lega di cromo e vanadio) la Dotta Ignoranza, mica senza deferenza, ma siamo intrapresi in altra simiglianza. Una sapienza indotta, si vuol dire con ciò che questa è una mostra particolare, nella quale però ogni dardo afferisce all’anima e all’intelletto, e traverso loro quindi, ad un concetto sempre generale, assoluto.

Se, per Cusano, la conoscenza (del tutto) rimane inattingibile all’uomo, la ragione non risulta mai sconfitta.
Il poligono cerchiante, sempre questo nostro Castello che si anima d’intelligenza e d’artifizio; le opere degli artisti, sono i dardi nelle faretre unite. Le opere sono concetti armati (svolti, antiatrofici, non descrittivi, sviluppati), sono le unità minime, plastiche, della ricerca, dell’esserci, del senso.

Le opere sono metafore, simboli, astronavi, altre scatole rotanti, altri manieri viaggianti. Le immagini, dice Cusano, a complicare, per explicare. Le semplificazioni infatti, terribili: confondono, impoveriscono, abbattono, sconfiggono. Una cosmologia proiettata si dischiude tra le crepe, essa apre-il-mondo: Deus Creatus.

Una meccanica di congruenza anche, Der Uhrwerk_Schloss, altrochenò.

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