Venezia 77 – “Gaza mon amour” dei registi Tarzan Nasser e Arab Nasser: recensione del film nella sezione “Orizzonti” della Biennale Cinema 2020.

Gaza mon amour

Gaza mon amour

Regia: Tarzan Nasser, Arab Nasser
Produzione: Les Films du Tambour (Rani Massalha, Marie Legrand), Riva Filmproduktion (Michael Eckelt), Ukbar Filmes (Pandora da Cunha Telles, Pablo Iraola), Made in Palestine Project (Rashid Abdelhamid), Jordan Pioneers (Khaled Haddad)
Durata: 88’
Lingua: Arabo
Paesi: Palestina, Francia, Germania, Portogallo, Qatar
Interpreti: Salim Daw, Hiam Abbass, Maisa Abd Elhadi, George Iskandar, Hitham Al Omai, Manal Awad
Sceneggiatura:  Tarzan Nasser, Arab Nasser in collaborazione con Fadette Drouard
Fotografia: Christophe Graillot
Montaggio: Véronique Lange
Scenografia: Tarzan and Arab Nasser
Costumi: Hamada Atallah
Musica: Andre Matthias
Suono: Tim Stephan, Roland Vajs, Pedro Góis

In selezione nella sezione “Orizzonti” della 77^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia l’opera “Gaza mon amour” dei registi Tarzan Nasser e Arab Nasser.

Il lungometraggio narra una storia delicata e commovente, in grado di rappresentare l’avvicinamento all’amore in modo intimo e con elementi di ironia.

Il protagonista è il pescatore Issa (Salim Daw), un uomo di sessant’anni che non si è mai sposato; vive da solo, con la vicinanza della sorella (Manal Awad) e di un giovane commerciante (George Iskandar) che vuole partire per l’Europa alla ricerca di un futuro roseo per sé e per la sua famiglia.

Issa trascorre i suoi giorni serenamente, nonostante viva in un territorio difficile, in cui il dominio della polizia è preponderante ed è necessario prestare molta attenzione alle proprie azioni. L’uomo non auspica una vita differente, non cerca il suo futuro altrove, ama la sua terra e il suo lavoro. È segretamente innamorato di Siham (Hiam Abbass), che è impiegata come sarta al mercato. La donna vive con la figlia (Maisa Abd Elhadi), divorziata: il loro rapporto è conflittuale, vi è una contrapposizione generazionale evidente anche esteriormente ma, tuttavia, nei loro gesti affiora, anche, il profondo legame che le unisce, fatto di poche parole e tanti silenzi.

La vita di Issa e Siham è una vita povera, colma di sacrifici e di problematiche ma la regia riesce a far emergere, nonostante le condizioni di vita disagevoli, la bellezza di un cuore che continua a battere, malgrado il trascorrere degli anni e i dolori subiti.

La musica, (Andre Matthias), delicata ma “densa” della storia raccontata, accompagna le azioni dell’uomo e della donna, rendendo la loro realtà quotidiana meritevole di attenzione.

Issa, durante una nottata di pesca rinviene nel mare un’antica statua greca. L’uomo la nasconde in casa ma la polizia la ritrova: da quel momento, per il protagonista, incominciano i problemi giudiziari. Ciò che, tuttavia, stranisce è la visione di come l’uomo affronta i suoi dilemmi: è distante da ciò che gli accade, il pensiero è sempre proiettato a Siham, alla quale vuole dichiararsi e chiederle di sposarlo.

Lo spettatore osserva le azioni buffe di Issa, il suo modo delicato ma goffo di avvicinarsi alla donna e riesce a cogliere la bellezza di quest’amore: “Gaza mon amour” è un piccolo “tesoro” da scoprire.

Dove sembra non esserci spazio per l’esistenza lì si scopre la sua potenza.

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