“Prevenire” per curare : l’assurda pratica del breast ironing

Essere donna ai giorni nostri è molto difficile ma ci sono realtà a noi ignote in cui l’attuale condizione del genere femminile è a dir poco allarmante. In Africa Occidentale (soprattutto in Camerun) viene usata e tramandata da innumerevoli anni una pratica che è stata definita dall’Onu «uno dei crimini più diffusi contro le donne». Stiamo parlando del breast ironing.

“La frase che ti ripetono ossessivamente è non urlare, lo facciamo per il tuo bene. Non ho ancora avuto il coraggio di parlarne con i miei figli. Tre giorni fa uno di loro mi ha chiesto ‘Mamma perché hai il seno piccolo?’ Gli ho risposto che non sapevo.”

Tradotto in italiano con ‘Stiramento del seno’, questa usanza è svolta all’interno delle mura domestiche, principalmente dalle donne di famiglia (madri, nonne, zie, cugine, sorelle) e consiste nell’appiattire il petto delle ragazze in età di sviluppo con fasce, spatole o pietre bollenti. Lo scopo è di proteggere le adolescenti da potenziali pericoli esterni quali stupri o molestie sessuali, gravidanze o matrimoni precoci e fare così in modo che queste ultime abbiano la possibilità di ricevere un’istruzione e diventare finanziariamente indipendenti.

“Quando il mio seno ha iniziato a svilupparsi, le persone in casa mia hanno cominciato a parlarne. I vicini, gli amici di mia madre e gli anziani. Ne parlavano così tanto! Ho iniziato a provare vergogna visto che tutti ne parlavano. Alla fine mia madre decise di stirare i miei seni, perché altrimenti avrei attirato gli uomini e uno mi avrebbe messa incinta. Dovevamo uccidere quei seni, secondo mia madre. Ha preso una roccia, l’ha scaldata e l’ha passata su tutto il petto. La cosa andò avanti per settimane. I seni sono ciò che rende una donna bella. Oggi me le sento flaccide e faccio perfino fatica a stare in piedi.”

Le conseguenze sono numerose e deleterie, a livello fisico (interruzione o ritardo della crescita del seno, febbre alta, bruciature, cicatrici, impossibilità all’allattamento e probabilità di contrarre il cancro al seno) ma soprattutto a livello psicologico: queste ragazze infatti vivono lo sviluppo del seno come una cosa sbagliata tanto da provare sentimenti di vergogna e di colpa nei confronti delle loro famiglie e specialmente verso sé stesse. Possono quindi sorgere disturbi ben più gravi come la depressione, l’emarginazione sociale e la depersonalizzazione di sé.

“Avevo 8 anni. Mia madre mi ha detto, ‘Fammi un po’ vedere, ti è già spuntato il seno? Quando una ha il seno già alla tua età, gli uomini la guardano.’ Non capivo perché mi facesse quelle cose. Lo faceva anche tre volte al giorno, tutti i giorni, con una spatola. Diceva che era per il mio bene. E il problema è che a me cresceva lo stesso. Così è passata ai sassi. Erano come tizzoni ardenti. A un certo punto ho chiesto aiuto a scuola, e lei mi ha detto che avrebbe smesso. Ma poi ha ricominciato, stavolta coi noccioli riscaldati. Schiacciava, schiacciava. Così sono scappata, sono andata a vivere da mia zia. A volte cerco di capire mia madre. Ma quando mi guardo allo specchio sto male.”

Lo stiramento del seno, oltre che in Camerun, è diffuso anche in altri stati dell’Africa: in Guinea-Bissau, Guinea, Ciad, Togo, Benin, Costa d’Avorio, Kenya, Zimbabwe, Nigeria e Sudafrica. Anche in Europa, in particolare nelle famiglie camerunensi residenti in Regno Unito, ci sono numerosi casi di breast ironing: nell’articolo del 3 aprile 2016 pubblicato sul sito Profile.it è stato stimato che «Potrebbero essere 1.000 le ragazze che hanno subito questa forma di violenza» e che «Le autorità inglesi stanno discutendo l’opportunità di considerare la pratica del breast ironing al pari di altre mutilazioni genitali femminili». Purtroppo la mancanza di informazioni su questo fenomeno («un poliziotto su sette in Inghilterra non sa nemmeno cosa sia questa pratica») e la segretezza nel circolo familiare che lo caratterizza (spesso le ragazze coinvolte non se la sentono di denunciare i propri cari) impediscono ai servizi sociali e alle forze dell’ordine di intervenire come dovrebbero.

“La mamma ti dice, ‘vieni’. E se provi a scappare ti insegue. Magari ti prende all’ora di andare a letto. E inizia a premere, a premere, a premere. Anche se piangi. Fa male, ma ti obbliga. Oggi mia mamma non c’è più. Non so cosa ne pensasse davvero, se in bene o in male. E dopo essere stata violentata da mio cugino, a 13 anni, sono rimasta incinta. Dovevo allattare, ma non potevo. Così hanno provato con le formiche. Le prendono e te le mettono sul seno. Quando morsicano il seno si gonfia. Ho avuto tre figli. Non sono comunque riuscita ad allattare.”

Di recente numerose associazioni, prima fra tutte la britannica CAMECIDO (CAME Women and Girls Development Organisation), l’UNPFA (Friends of the United Nations Population Fund) e la GTZ (l’Agenzia Tedesca per la Cooperazione Internazionale) hanno denunciato l’uso del breast ironing e la sua continua diffusione. Tra le molte iniziative spiccano il documentario Our breasts, our plague del giornalista Kirk Bayama e il progetto Plastic Dream avviato dal fotografo francese Gildas Paré e presentato in anteprima dalla rivista Vice nel 2015. Attraverso le immagini dei corpi di ragazze diverse, l’uomo vuole mettere in luce le loro sofferenze ma anche la loro voglia di mostrarsi al mondo e il loro desiderio di essere considerate, una volta per tutte, ‘donne’:

“Vorrebbero rifarsi il seno, avere i soldi per l’operazione. Vorrebbero potersi mettere un bel vestito, uscire, mostrarsi. Invece si nascondono. È questa la cosa più brutta. Prima di iniziare il progetto avevo delle idee, dei preconcetti, pensavo di trovare donne con cicatrici enormi. Ma nelle nostre conversazioni a emergere erano soprattutto le ferite psicologiche. E attraverso i loro sguardi ho cercato di far emergere le loro emozioni. Io stesso ero particolarmente provato.”

Anche le vittime di breast ironing hanno deciso di far sentire la propria voce. Infatti nel 2006 è stata fondata la Renata (National Association of Aunties in Camerun), un’organizzazione non governativa composta da ragazze soggette a tale pratica che invoca da anni una norma che metta fuori legge lo stiramento del seno. Ancora oggi non ci sono novità in tal senso e le molteplici problematiche del contesto africano (oltre al breast ironing ci sono altre usanze tabù a cui le donne sono sottoposte come le mutilazioni genitali femminili o la stiratura della pancia dopo il parto) insieme al muro di ignoranza e paura degli abitanti locali non aiutano affatto a migliorare la situazione. Tuttavia, come scrive Marcella Toso nel suo articolo pubblicato il 7 ottobre 2012 sul sito Liveworldpress.info, «solo attraverso campagne di sensibilizzazione e programmi educativi queste pratiche potranno essere eliminate sempre nel rispetto della loro cultura e della loro identità ».
Occorre perciò sperare che il processo di cambiamento attuato in queste zone continui.

“Il sasso mi ricorda il dolore della mia infanzia. Lo stesso sasso che viene usato per schiacciare le spezie viene usato per distruggere la bellezza della donna, la pelle di un’adolescente. Molti genitori lo fanno per ignoranza, per sostituire una loro mancanza. Con me hanno cominciato a 10 anni. E dopo, piuttosto che farmelo fare da qualcuno, ho preferito usare io stessa quel sasso. A 16 anni sono rimasta incinta, e il seno ha finalmente incominciato a crescermi. Ma non potevo allattare, usciva un liquido nero. Ricordare fa male. Ho deciso di dimenticare, ma anche di battermi perché non venga fatto ad altre.”

Elisa Ceccon

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