Francesco Totti: umiltà capitale!

È finito il tempo delle bandiere, potrebbe sembrare un luogo comune, ma i luoghi comuni a volte si rifanno al buon senso, ed è bello essere semplici, specie quando di fronte ai nostri occhi si presentano “eroi” fenomenali ma genuini. Francesco Totti, tanto sbeffeggiato e dileggiato da stampa, radio e televisioni di tutta Italia, dalla Val d’Aosta alla Sicilia, quanto amato a Roma, ha deciso in maniera forzata e coatta, ma non la sua, quella di chi lo circonda a livello mediatico e che in questo ultimo anno non lo ha tutelato minimamente, di chiudere la sua carriera calcistica nella capitale.

Si è dimostrato un vero signore perché ha evitato le polemiche ed ha ammesso di avere paura della sua vita dopo la fine della carriera calcistica; un “eroe” epico in un’epoca come quella attuale, all’interno della quale bisogna dimostrarsi vincenti a tempo determinato, ma mai vittoriosi nell’animo e nel coraggio. L’era attuale attraverso la pubblicità e l’indottrinamento delle logiche del progresso e del mercato insegna il disvalore principale: la negazione dell’umiltà.

Si sostiene che il fatto di essere umili, buoni d’animo, semplici e solari (attenzione solari, non strafottenti) rappresenti una debolezza, una fragilità; addirittura ammettere di aver paura è quanto di più scandaloso in una società che ha fatto della spudoratezza, della pornografia esteriore dei sentimenti e delle pulsioni intime dei vessilli che hanno sostituito gli antichi valori dell’epica. Semplicità è forza, il mostrarsi anche deboli un atto di coraggio, perché dentro la forza esistono anche i limiti e le debolezze, e l’atto meraviglioso è combattere e rischiare per superarsi.

Totti ha sofferto tanto, nonostante fosse un campione sul campo e fuori; concedersi ogni tanto delle prese in giro bonarie fra persone è legittimo e rientra in un clima di allegria e convivialità; insistere ed infierire sui limiti umani coinvolgendo anche familiari è brutale, barbaro, meschino. Ma il capitano ci ha riso sopra, sfoderando l’autoironia che come ricorda il filosofo e giornalista Pietrangelo Buttafuoco rappresenta una delle armi più potenti, signorili, umane per sconfiggere l’avversario, o addirittura il nemico che provoca scorrettamente.

Un capitano come Francesco ha sempre risposto al male con il bene, alle cattiverie con l’arte della simpatia e della genuinità; ricordiamo con fierezza, onore e piacere quando durante l’anno 2000-2001, anno dello scudetto romanista, difese sotto la curva il suo portiere Antonioli fischiato dai tifosi perché ritenuto inadeguato.

Come non rammentare altrettanto le opere di bene e volontariato mai promosse a livello pubblicitario, opere di aiuto che non si sostanziavano soltanto in un finanziamento, ma si specificavano in una presenza, in un sorriso, in una parola di aiuto. Il pupone cresce a Porta Metronia quartiere semicentrale della capitale fra l’Appio Latino ed il centro storico, nonostante la stampa lo presentasse come un fenomeno di periferia. Il Capitano non ha mai rivendicato la centralità della sua zona di nascita definendosi romano a prescindere.

Nella stanza il poster di Giuseppe Giannini, il suo ed il nostro ex capitano; 15 anni di Roma, cuore, sudore ed orgoglio, oltre a tecnica da principe, anche lui poco valorizzato e maltrattato a fine carriera. Questo calcio sembra essere votato solo alla velocità, che svilisce anche la stessa tecnica e lo stesso spettacolo; proprio per questo non conosce più la gratitudine, la riconoscenza e le vecchie buone maniere.

Una storia che viene da lontano quella del Francesco nazionale, ma alla quale ci avviciniamo fin da subito se pensiamo che fin da piccolo tirava calci al pallone e passava ore interminabili sulla spiaggia a sognare quel goal all’Olimpico che era già realtà di fronte al mare di Torvaianica, che forse lo guardava già con la consapevolezza del campione che aveva davanti.

Tutti i giorni Mamma Fiorella lo accompagnava agli allenamenti da Porta Metronia a San Basilio; la domenica era dedicata alla riunione familiare per seguire le gesta di Francesco, ricorda Riccardo il fratello…cappuccino, cornetto, Messaggero, io, mio padre e mia madre ad accompagnare Francesco…ci siamo girati mezza Italia…’’.

Dopo essersi fatto notare nelle giovanili, per le grandi doti tecniche, tattiche e di abnegazione e sacrifico riesce a passare in prima squadra nel 1993, 28 marzo, sedici anni, sostituisce Ruggero Rizzitelli al minuto 87 di un Brescia-Roma, con Vujadin Boskov in panchina. I rapporti con i suoi allenatori, a parte l’ultimo che non è mai stato in grado di gestirlo nonostante la sua intelligenza umana e sportiva, e quello con Carlos Bianchi che lo voleva cedere alla Sampdoria, sono sempre stati caratterizzati dal rispetto e dalla collaborazione. Totti dal canto suo si è sempre comportato sportivamente ma non tutti sono riusciti ad individuare gli strumenti per comprenderlo. Il capitano ha comunque sempre confessato il suo debole per Zeman che lo ha fatto maturare calcisticamente e per Mazzone, testaccino doc, per lui una sorta di secondo padre. Da non dimenticare il rapporto travagliato con Fabio Capello, il più grande allenatore per lui, molto stimato calcisticamente da Francesco, l’allenatore dello scudetto, che scelse poi la Juventus. Da romano Totti non la mandò giù.

Una storia di gloria, simbiosi con il proprio pubblico ed eroismo durata 25 anni; la situazione risulta più romantica in un calcio moderno di tatuaggi e di sfilate narcisistiche. La bellezza, minino comun denominatore dei suoi anni a Trigoria è stata   la consapevolezza del capitano di allietare le domeniche a suon di goal al suo popolo, del quale il biondo di porta Metronia si è sempre sentito parte integrante. Un sorriso per i sofferenti e per gli anziani, una dedica ai bambini, una carezza calcistica per le persone in ospedale che attendevano le sue gesta, tutte queste caratteristiche lo hanno reso spontaneo, affabile, sempre più vicino alla città, dal Pantheon a Corviale, da San Pietro a Prima Porta…

Un abbraccio ideale in generale a chi vive il sentimento di identificazione con la propria città, una mamma gialla come i raggi della luce e della simpatia, rossa come la passione ed il cuore, parafrasando Antonello Venditti.

Una città tanto bistrattata, e criticata a volte dagli stessi romani; forse Totti è stato anche questo, la capacità di mantenere accesa quella fiammella di amore e curiosità per una capitale che accoglie tutti e che da secoli è una luce per il mondo, nonostante l’incapacità di chi l’ha governata negli ultimi 30 anni. Ci siamo arrabbiati a volte per i nervi tesi nelle competizioni europee, ma poi abbiamo capito che l’emotività è amore, e l’istinto passione.

Tonando al Re Totti investito di questo potere dal principe Giannini, rammentiamo allo stesso modo che il suo addio non è stato affatto patetico come qualcuno ha tentato di definire, non ottenendo giustamente commenti mediatici; il suo è stato un inno alla romanità, quella di sordiana memoria, un po’ umile, un po’ ironica, un po’ consapevole della grandezza e dell’eternità della città di appartenenza.

Quella consapevolezza di chi ha dedicato alla bella fra i colli non solo goal, ma umanità, calore, colonna sonora di 25 anni con la quale i romani si sono fidanzati, sposati, hanno ottenuto la laurea o il diploma, trovato il lavoro, perso l’occupazione, si sono addolorati, rallegrati, sono partiti e tornati. Ma hanno avuto sempre di fronte a loro il sorriso e la dedica del capitano. Grazie Dio per averci donato questo capitano…e grazie a te capitano!

 

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