La pazienza del silenzio per ascoltarci ed ascoltare.

In questo periodo stiamo potenziando un aspetto che da troppo tempo il genere umano, preso dalla velocità, dal raggiungimento del successo a tutti i costi e dalla frenesia aveva trascurato: la pazienza.

E la pazienza vuol dire cercare un senso non solo a quello che sta avvenendo là fuori, ma a quello che accade dentro di noi, anche nella vita ordinaria, quella che ci induce a correre e a volte ad assolvere ad una coazione a ripetere, con i condizionamenti dell’apparenza.

Dicevamo la pazienza, una qualità ed una virtù che dà la possibilità di scoprire che non si è eroi se si preserva la propria incolumità nella propria residenza. È attenzione per noi stessi, senso civico, appartenenza comunitaria: ma niente di mitologico od eroico come amplificato dai media.

Si dovrebbe poter chiudere gli occhi, osservare quello che sta capitando là dentro e rielaborare una strategia emozionale, concreta, necessaria per quello che ci sarà dopo. Perché non è detto che saremo migliori e migliorati, anzi forse risulteremo anche un po’ più stressati.

La lezione non si sviluppa integralmente adesso, ne vedremo gli effetti poi. Una volta che tutto sarà tornato quasi alla normalità potremo comprendere se qualche cambiamento è davvero avvenuto. Magari l’iniziale distanziamento sociale propedeutico al ritorno alla vita ordinaria ci darà lo stimolo per alzare gli occhi uno verso l’altro e qualche volta anche al cielo per guardare un’aquila ed un gabbiano che incrociano gli sguardi, per disconnetterci dai terminali portatili delle nostre non vite?

Forse il distanziamento sociale, pur mantenendo distanze centimetri e metri, eliminerà la diffidenza di coloro che vivono concentrati sulle loro aree confortevoli di familiari e dei piccoli gruppi lavorativi ed amicali per scambiare un sorriso, anche un semplice sorriso, o un banalissimo, semplicissimo ma meravigliosamente trasgressivo saluto?

O chi lo sa, forse il distanziamento sociale ci farà togliere le cuffie dalle orecchie per scambiare una chiacchiera con sconosciuti in metropolitana senza condizionamenti successivi che ci portino ad interrogarci sulle conseguenze.

Mettono un po’ paura le video dirette collettive, oggi certo meglio di nulla, ma speriamo che domani non si continuino ad organizzare feste e riunioni a distanza o che siano soltanto apporti complementari.

Mette paura pensare che con la rete si può gestire quasi tutto lo scibile; per questo diciamo che la prova dei fatti si vedrà inevitabilmente domani, quando si tornerà, presto si spera, ad abbracci veri e spontanei e a contatti di umanità.

E torniamo sulla pazienza, la costanza di ascoltare un silenzio, di sentire quel rimbombante silenzio dal quale scappiamo tutti i giorni per correre, urlare, ripetere le azioni e le abitudini come in un teatrino di bassa lega all’interno del quale ognuno ha il proprio compitino senza un’arte, uno slancio, un rischio creativo.

La pazienza di comprendere che il nostro ruolo in questo momento è questo e solo questo, oltre quello di farci forza l’uno con l’altro.

La pazienza del silenzio per ascoltarci ed ascoltare con più intelligenza, sensibilità ed anima anche gli altri…

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