L’interpretazione dei numeri del Governo

Il governo italiano ha recentemente annunciato l’uscita ufficiale dell’Italia dalla recessione tecnica, con un rialzo del 0,2% del PIL del primo trimestre.

Io ho recentemente avuto una discussione riguardo a questo dato e ad altri numeri del governo riguardo alla loro attendibilità: a mio modesto parere non sono i numeri che chiamano alle critiche, bensì la loro interpretazione. Se infatti la matematica non è un’opinione, non si dovrebbe discutere sullo 0,2% in senso stretto, ma in senso generale come il dato che attualmente più rispecchia la nostra situazione economica.

Se da una parte è vero che l’Italia non sia più minacciata dalla recessione tecnica, è altrettanto vero che la media europea di crescita trimestrale è esattamente il doppio (o,4%) e che l’anno 2019 è ancora lungo, quindi altri sbalzi economici potrebbero verificarsi. Il dato positivo è quindi da considerarsi provvisorio e in via di consolidamento, in quanto le forze politiche dovranno dimostrare di attenersi alle previsioni di crescita e di mantenimento del PIL positivo per tutto l’anno solare. Quindi aspetterei a cantare vittoria anche se l’entusiasmo dei ministri Di Maio e Tria è più che condivisibile, soprattutto in quanto il dato è arrivato insieme alla festività del lavoro. E proprio il lavoro è il tema degli altri numeri di governo che non ammettono obiezioni da un punto di vista assoluto ma solo relativo, in base alle loro interpretazioni.

Il tasso italiano di disoccupazione si assesta al 10,2%, in diminuzione rispetto all’11% circa del precedente trimestre e così anche la disoccupazione giovanile che si ferma al 30%. Tuttavia, cerchiamo di analizzare i numeri in un contesto più ampio: come disoccupazione totale, l’Eurozona ha una media del 7,7%, mentre per quella giovanile si raggiunge il 15,2% (dati Sole 24 Ore 4 maggio 2019). Se aggiungiamo il fatto che secondo le istituzioni europee un giovane su due fa ancora fatica a trovare lavoro all’interno dell’Eurozona, i tempi sono ancora incerti per i ragazzi tra i 14 e il 28 anni non solo in Italia ma in tutto il nostro continente. Ciò nonostante, l’Italia è in netto svantaggio e arretratezza sulla questione della disoccupazione giovanile, con un tasso praticamente doppio rispetto alla media europea.

Festeggiare sullo “zero virgola” ignorando il numero che viene prima di esso non mi sembra un comportamento da politico illuminato e onesto nei confronti di una Paese fondato sul lavoro (art. 1 Costituzione Italiana). Inoltre, l’Italia è ancora ben lontana dalla crescita del PIL pre-crisi dopo circa 11 anni di tentata ripresa economica: i dati incoraggianti devono assolutamente essere resi pubblici, ma senza un’accurata analisi del loro vero significato, restano solo carte da aggiungere al mazzo degli assi da calare in vista delle elezioni Europee.

Martina Seppi

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