Luciano Moggi: il perfetto simbolo di un Paese malato

Il 23 marzo scorso, il comitato dell’ordine del Leone d’Oro di Venezia ha assegnato il premio alla carriera a Luciano Moggi. La premiazione è avvenuta nella Sala Zuccari del Senato, alla presenza di alcuni esponenti del mondo politico, come l’Onorevole Mario Baccini.

I motivi della scelta sono stati essenzialmente due: l’attività sociale del beneficiario e le sue azioni di responsabilità civile. Un premio sicuramente meritato da parte di Luciano, che in effetti si è impegnato tanto nel corso della sua vita a fare quello che gli riesce meglio: rappresentare fedelmente tutto il marcio tipico dell’Italia.

Sì, perché la carriera di Moggi è veramente il perfetto simbolo del nostro Paese. Dopo la scuola, diventa un semplice impiegato statale. Nel frattempo, però, coltiva la sua passione per il calcio, facendo lo stopper nelle categorie inferiori. Non ha nessun particolare talento in campo, perciò non riesce a vivere solo di quello.

Ma questo non gli basta. Così, durante gli anni ’70, decide di sfidare la sorte, provando ad arrangiarsi nel mondo dei talent scout. Inizia a lavorare per la Juventus, dove riscuote alcuni successi scoprendo giovani calciatori promettenti. Per Lucianone, però, ciò non è ancora sufficiente. E allora tenta di estendere i propri affari, manovrando anche le trattative di altre società. Peccato soltanto che, ad un certo punto, Boniperti lo scopra e lo cacci via, non permettendogli nemmeno di entrare più nella sede bianconera.

Ma “Big Luciano” non si dà per vinto. Si rimbocca le maniche e riesce a farsi assumere dalla Roma. Le cose sembrano andare di nuovo per il verso giusto. Finché, un brutto giorno del novembre del 1979, Dino Viola lo becca a parlare con un arbitro prima di una partita, nel tentativo di influenzarlo. Stranamente, invece di apprezzare la cosa, il presidente giallorosso va su tutte le furie. E così Moggi si ritrova ancora una volta senza squadra.

Dopo alcune esperienze sfortunatamente andate a vuoto, Luciano trova un posto in cui potersi rilanciarsi sul serio. Si tratta del Torino di Gian Mauro Borsano, dove Lucianone riesce davvero a superarsi. Infatti, nel 1991 viene inquisito per illecito sportivo e favoreggiamento della prostituzione. Sembra proprio che il nostro beniamino si dilettasse a procurare delle escort agli arbitri in occasione delle partite di Coppa Uefa giocate dai granata. Per fortuna, il suo collaboratore si prende tutte le colpe e lo fa prosciogliere.

In questo modo, Moggi può restare in libertà e trovare finalmente il luogo ideale per coronare la sua straordinaria carriera. Nel 1994, lo rivuole la Juventus, che gli affida la direzione sportiva del club. Insieme ai suoi prodi scudieri Giraudo e Bettega, forma la celebre “triade”, che porta i bianconeri alla conquista di svariati successi sportivi.

Soprattutto, però, Luciano può appuntare altre due meravigliose medaglie sulla propria divisa. Prima, è indagato all’interno dell’inchiesta sull’uso di EPO da parte della Juve, da cui riesce ancora una volta a farsi scagionare grazie all’inesistenza della fattispecie di reato necessaria per condannare le anomale pratiche mediche bianconere.

Infine, firma il proprio capolavoro. Ad inizio duemila, mette in piedi una rete di influenze, che controlla con fermezza e decisione, distribuendo favori e lezioni in giro per l’Italia. Corrompe arbitri, rinchiude persone negli spogliatoi, manovra sorteggi. Insomma, un’autentica “cupola” di stampo mafioso.

Ma purtroppo tutte le cose belle finiscono, prima o poi. In questo caso, per colpa di un PM un po’ troppo solerte, che trova il modo di farlo condannare sia a livello sportivo sia penale. Moggi viene radiato nel 2012 in via definitiva dall’Alta Corte del Coni. Gli tolgono due degli scudetti vinti meritatamente sul campo con la Juventus. Il mondo del calcio sembra dimenticarsi di lui.

Per fortuna, però, dopo il temporale ritorna sempre il sereno. E così Lucianone, piano piano, torna in gioco. Viene richiesto dai più grandi quotidiani sportivi nazionali per prestigiose interviste. Tiene rubriche su alcuni giornali e siti in cui spiega come funziona il calcio. È invitato in trasmissioni televisive, acclamato come un grande esperto. Addirittura la Juve riabilita i suoi scudetti, anche se non ufficialmente.

E, finalmente, il 23 marzo scorso gli viene riconosciuto il giusto riconoscimento per la sua incredibile carriera. Un percorso fatto sicuramente di alti e bassi. Ma con un unico grande obiettivo sempre davanti: cercare in continuazione la strada più semplice e scorretta per riuscire a vincere. Come solo un vero e proprio italiano è in grado di fare.

 

Leonardo Gilenardi

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