Matteo Macchioni: “fiero e orgoglioso del mio secondo album tra voce lirica e anima pop” – INTERVISTA

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Matteo Macchioni

Matteo Macchioni

“MATTEO MACCHIONI”:  l’omonimo nuovo album del primo tenore che ha partecipato ad Amici. Un progetto crossover, elegante e potente, in cui la voce lirica si intreccia con l’anima pop, dando vita a un racconto al tempo stesso intimo e universale.

Prodotto insieme a grandi nomi della musica italiana, tra cui Piero Cassano, Fabio Perversi e Mario Natale, l’album si compone di 10 brani che affrontano i temi dell’amore, della perdita, della memoria familiare e della rinascita interiore. I testi portano la firma, tra gli altri, di Giancarlo Golzi, Alberto Salerno, Beppe Andreetto e Gian Battista Galli, oltre che dello stesso Macchioni

Matteo Macchioni è un tenore nato a Sassuolo. Fin da bambino si dedica allo studio della musica e nel 2007 consegue, con il massimo dei voti, il diploma accademico di secondo livello in pianoforte. Parallelamente coltiva la passione per il canto lirico, diplomandosi nel 2019 con il massimo dei voti e la lode, mentre è già attivo artisticamente a livello internazionale. Dopo la partecipazione ad Amici di Maria De Filippi nel 2010, dove è il primo tenore ufficiale del talent, inizia una brillante carriera nel mondo dell’opera e della lirica e, nello stesso anno, Caterina Caselli lo ingaggia in Sugar Music e produce il suo album d’esordio “D’altro canto”.

Si esibisce nei più prestigiosi teatri e sale da concerto del mondo, tra cui il Teatro alla Scala di Milano, il Teatro Regio di Parma, l’Opera di Lipsia, la Royal Opera di Copenaghen, la Welsh National Opera di Cardiff, la Grand Concert Hall del Conservatorio Čajkovskij e l’International House of Music di Mosca, l’Accademia di Santa Cecilia a Roma, l’Arena di Verona e molti altri. Partecipa a numerosi festival in Italia e all’estero, tra cui il Rossini Opera Festival, lo Stresa Festival, il Donizetti Opera Festival di Bergamo, il Bregenzer Festspiele in Austria, il Festival Tirolese di Erl, il Luglio Musicale Trapanese, il Festival Como Città della Musica e il Maggio Musicale Fiorentino.

Intervista a Matteo Macchioni a cura di Miriam Bocchino. 

  • Dal 6 giugno l’album “Matteo Macchioni”. Mi racconti il progetto?

Il desiderio di fare un secondo disco di inediti pop o crossover nasce da lontano. Più di un decennio fa ho conosciuto Piero Cassano all’estero, in un festival dove cantavo. Subito è nata una bella amicizia, anche con Fabio Perversi, che insieme a Piero era ancora nei Matia Bazar. La carriera lirica poi ha impedito a questa intesa artistica di legarsi profondamente, perché io ero impegnatissimo nel promuovere la mia immagine e, soprattutto, il mio canto in Italia e all’estero a livello operistico. La strada della discografia è stata lasciata in un cassetto ma non è mai stata dimenticata.

Quando la mia carriera è decollata definitivamente e, quindi, ho avuto la libertà artistica di poter fare ciò credevo giusto, ho richiamato Piero e ci siamo trovati in studio. Nel 2022 ci siamo detti “intraprendiamo questa strada, cerchiamo questa nuova progettualità”. È stata, non solo un’apertura come interprete, ma anche come penna compositiva: questo mi rende fiero e orgoglioso. Ai tempi di “Amici di Maria De Filippi” non è potuto uscire questo mio aspetto perché Caterina Caselli, la mia prima discografica a cui sono legato da riconoscenza e affetto, non mi ha consentito di inserire nel disco brani scritti da me. Qui invece – non è un caso che l’album si chiami Matteo Macchioni – c’è un’identificazione del mio essere artista, interprete e compositore.

  • L’album contiene 9 inediti e 1 medley: mi racconti la scelta dei due brani dei Queen per il medley?

Ho un amore per la musica di Freddie Mercury fin da ragazzino e i Queen sono una rock band che ho ‘incontrato’ anche nei concerti. Mi è capitato più volte in Italia e all’estero di interpretare in chiave rock sinfonica i pezzi dei Queen. Il medley l’ho prodotto io in studio per un concerto: ho cercato di fondere “One Vision” e “Bohemian Rhapsody”. A Piero è piaciuta talmente tanto che mi ha detto “la mettiamo come ultima traccia del disco perché è bellissima”.

  • “Armi fragili” affronta il tema dell’amore come abbattimento delle difese: in una società che ci vuole spesso invincibili, quanto è complesso oggi abbandonarsi all’amore, mostrarsi anche fragili?

Il pezzo era un provino di Piero e inizialmente era cantato da una voce femminile, il testo l’ho scritto io. Quando l’ho cantato per la prima volta ero molto innamorato ma non riuscivo a lasciarmi andare, un po’ per timore, un po’ per le brutte esperienze passate. Non avevo voglia di far entrare l’altra persona nella mia vita, stavo sulla difensiva. Quando sono riuscito a lasciarmi andare è stato molto bello. Ho pensato, quindi, di mettere queste sensazioni in musica. In me, quando provo qualcosa in più, scattano domande, problemi, “pippe mentali”. È la società che ci dice ‘dobbiamo essere invincibili, forti’. Alla fine, in realtà, l’amore si costruisce più sulle fragilità, è necessario abbattere le difese, che è sempre la cosa più difficile di tutte. Quando lo fai cadono le armi fragili perché sono armi che ti costruisci da solo.

  • Con “Irraggiungibile” esplori il momento prima in cui l’artista sta per entrare in scena: personalmente cosa si prova qualche minuto prima? Quali sono le sensazioni? Ti sei sempre sentito all’altezza o quel desiderio di raggiungere l’irraggiungibile ti ha fatto sentire anche inadeguato?

È un concorso di emozioni: mi sono sempre sentito molto fragile e iniquo, inadeguato. Nella mezzoretta prima di salire sul palcoscenico i battiti del cuore salgono, c’è tensione. Questa tensione, inadeguatezza, si trasforma in luce e non in ombra. È come l’equilibrista, anzi il titolo originale del brano, che ho scritto all’età di 22, 23 anni, era proprio ‘L’equilibrista’, ma era troppo inflazionato e lo abbiamo cambiato. Le sensazioni vanno dalla paura alla voglia di scappare, poi la paura si tramuta in energia: è sempre così. Come diceva Lucio Dalla: ‘quando ti mancherà la fame o la paura di entrare in scena allora vuol dire che devi cambiare mestiere.”

Matteo Macchioni_(ph. Stefano Muzzarelli
Matteo Macchioni – ph. Stefano Muzzarelli
  • “Oltreoceano” racconta la storia del tuo bisnonno, emigrato in America nel 1910: hai avuto modo di conoscerlo o ciò che sai ti è stato tramandato?

È una storia che è rimasta avvolta nella nebbia per tanti anni. Me la raccontava mio nonno, quindi il figlio del mio bisnonno, la domenica dopo il pranzo, quando prendeva il caffè. Iniziava dicendomi in dialetto ‘quando il mio papà andò in America”. La raccontava come una storia ma né mia nonna, né la mia famiglia gli davano peso, pensavano ‘l’ha inventata’. È una storia che è accaduta prima della nascita di mio nonno, non ci sono fotografie o prove, anche se io ho sempre creduto a mio nonno.

La storia mi affascinava molto ed è questa: il mio bisnonno voleva sposarsi, non aveva soldi, ma aveva avuto la fortuna di studiare in un convento, qui nelle nostre colline emiliane, dove c’erano alcuni frati che parlavano l’inglese, quindi lui lo comprendeva un pochino. Decise, quindi, di intraprendere un viaggio in America per trovare i soldi per sposarsi. La sua donna, quella che sarebbe diventata sua moglie, lo ha aspettato qui in Italia, lui è partito, è stato via 4 anni. Quando è rientrato si è sposato, voleva tornare in America in modo definitivo ma nel 1915 lo mandarono al fronte nella prima guerra mondiale, quindi rimase in Italia.

Questa è la storia raccontata da mio nonno ma poi, un bel giorno, ho ricevuto un’email dagli Stati Uniti, dalla Ellis Island Foundation, che è una grande fondazione che riunisce in un archivio tutti i Passenger Records, cioè i manifesti di carico delle navi che arrivavano dall’Europa e portavano i migranti, che mi chiedevano se volessi contribuire perché c’era stato un mio parente che era stato negli Stati Uniti. Ho avuto la prova che la storia era vera, mi sono messo in contatto e ho ricevuto tutte le informazioni. Adesso vorrei far scrivere il suo nome e cognome sulla Wall of Honor.

Mi sono chiesto: che sensazioni può aver provato un giovane che a vent’anni lascia tutto per amore, per trovare i soldi e sposare la donna amata? Credo che lui fosse già orfano, povero di famiglia, e la mia bisnonna, invece, provenisse da una famiglia benestante e suo padre, quindi, non desse il permesso al matrimonio. Lui si sarà detto: ‘va bene, vado in America, faccio fortuna, torno e ti sposo.” La canzone racconta il viaggio.

  • “Quel grande albero” parla di infanzia, di ricordi, di radici. È un brano che parla di te. Quanto è complesso mettersi a nudo in musica? Ci sono aspetti che hai ancora pudore a raccontare?

Ce ne sono tanti che non ho ancora raccontato. Ci sono canzoni dentro al computer che non ho voluto far sentire.

“Quel grande albero” è autobiografica, racconta di quando ero piccolo in campagna e c’era questo grande albero di nocciolo. In estate mi trovavo sempre lì con una persona che oggi non c’è più, che mi chiedeva di fargli un concerto. Mi dava in mano delle latte vuote di carburante per trattori agricoli, due bastoni e mi diceva ‘fammi un concerto’; io avevo 3 – 4 anni. Questa persona mi diceva che avevo la musica nel sangue e che ero un bravo bambino. Oggi non c’è più né questa persona, né l’albero: ora lì c’è una fabbrica, che tristezza. Volevo lasciare una testimonianza di quello che avevo vissuto da bambino, che poi sono le mie radici.

L’essere artista nasce fin da piccolo. A casa distruggevo pentole, padelle, i miei erano disperati, facevo un casino infernale. Spesso prendevo le bacinelle della roba da lavare, le giravo perché la plastica faceva un suono che mi piaceva, prendevo coltelli o cucchiai e suonavo. Mia madre si arrabbiava. Mio padre a un certo punto mi ha comprato una batteria, ha detto ‘basta, convogliamo questa energia in uno strumento’, poi ho cominciato a studiare musica.

  • Che valore ha oggi questo secondo album nelle tue mani?

Per me ha un valore artistico importante perché c’è sia il Matteo esecutore che il Matteo autore e, soprattutto, c’è la collaborazione con un grande della musica italiana che è Piero Cassano. È un completamento, non ha in sé la logica del vendere, è un’esigenza artistica.

Non puntiamo al guadagno: io vivo già di musica, faccio il cantante dell’opera, e mi impegna il 95% del tempo. Il 5% del tempo ora è dedicato a questa strada, mi completa. Sono contento perché dopo il disco d’esordio avevo chiuso questa strada, non per volontà mia ma per esigenza di mercato, per concentrarmi sulla carriera operistica. Adesso, pur lasciando le due strade totalmente distinte perché non si devono intersecare, sono felice perché posso mostrare anche questa sfumatura del mio essere artista e mi rende fiero e orgoglioso, indipendentemente dai numeri.

  • So che quest’estate ci saranno delle date live per presentare il progetto.

Abbiamo due concerti quest’estate: il 10 e 11 agosto. Adesso ciò che dirò smentirà, almeno parzialmente, la narrazione che ti ho fatto: c’è una grossa società di concerti che si è interessata alla nostra arte, che è IMARTS, che ha deciso di investire in questo progetto, inizialmente con questi due concerti, ma ci sono anche altre cose in programma, cercheremo di andare nelle sale dei concerti, nei teatri, pur non proponendo un repertorio operistico.

Con me sul palco il 10 agosto a Fano e l’11 agosto al Festival La Versiliana in Toscana, ci sarà Mirca Rosciani che è una direttrice d’orchestra che farà la concertazione, un quartetto d’archi dell’Orchestra Maderna, Paola Caridi alla batteria, Mario Natale alle tastiere e la soprano Cristina Neri.

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