Recensione del film “C’era una volta a… Hollywood” di Quentin Tarantino: il regista non delude nemmeno quando fa il sentimentale.
C’era una volta a… Hollywood
Regia | Quentin Tarantino |
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Sceneggiatura | Quentin Tarantino |
Produttore | Quentin Tarantino, David Heyman, Shannon McIntosh |
Produttore esecutivo | Georgia Kacandes, Yu Dong, Jeffrey Chan |
Casa di produzione | Heyday Films |
Distribuzione in italiano | Sony Pictures Entertainment |
Fotografia | Robert Richardson |
Montaggio | Fred Raskin |
Effetti speciali | John Dykstra |
Scenografia | Barbara Ling |
Costumi | Arianne Phillips |
Interpreti e personaggi | |
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Ci sediamo in sala al cinema e guardiamo uno stralcio della vita di Rick Dalton (Leonardo di Caprio) e della sua fedele controfigura Cliff Booth (Brad Pitt) mentre cercano di girare scene di film o di “serie” western in America e in Italia per mantenere vivo il loro sogno: rimanere sulla cresta dell’onda del successo il maggior tempo possibile.
Rick è un bravo attore. Quando ci crede anche a lui stesso accadono belle cose. Il segreto della sua carriera è quello di interpretare sempre il ruolo del cattivo, dell’antagonista, dello “stronzo” di turno. Quando non è sul set però è un uomo pieno di debolezze e di insicurezze, di dubbi e di domande che non trovano risposta. Si commuove spesso, si arrabbia con sé stesso quando non recita in modo impeccabile e gli si gonfia il cuore di gioia quando riceve dei complimenti dai colleghi. Rick non dà mai nulla per scontato, in primis il suo successo e la sua popolarità. Si stupisce di essere invitato dalla famosa Sharon Tate (Margot Robbie) a bere un drink. Nonostante sia il suo vicino di casa, nonostante abbia una casa e viva proprio nello stesso quartiere, a pochi metri di distanza dalla famiglia Polanski, il protagonista resta di un’umiltà sorprendente.
Come Rick, anche Sharon, la moglie di Roman (Rafal Zawierucha), chiede imbarazzata al proprietario di un cinema di poter guardare il film in cui ha recitato e, mentre rivive le scene che conosce a memoria, si stupisce e gioisce per le genuine reazioni del pubblico che apprezza il film.
Com’era la vita dei divi di Hollywood negli anni Sessanta? Normale! Parola di Tarantino! I suoi personaggi sono persone normali che vivono vite normali in grandi ville ad Hollywood.
Questa normalità viene turbata da alcuni seguaci della setta di Charles Manson. Giovani hippies, frustrati e un po’ folli decidono di fare una strage nei quartieri ricchi di Los Angeles. La storia ci dice che purtroppo ci sono riusciti nella famosa notte di “Cielo Drive”. Nel film, invece, Rick e Cliff riescono in modo buffo e a tratti inconsapevole a sventare uno di questi attacchi. La crudeltà e la determinazione con cui la violenza messa in atto nella scena finale del film ci ricorda, come fosse una ciliegina glassata di sangue sulla torta del successo, che la romantica storia che stiamo guardando ce la racconta Quentin Tarantino, lui e nessun altro. Alla fine delle quasi 3 ore di film il regista lascia il suo inconfondibile “marchio di fabbrica”.
In “C’era una volta a Hollywood” il regista dà spazio agli attori né troppo conosciuti né sconosciuti, chiede a due Big come Pitt e Di Caprio di interpretarli e a noi spettatori di seguirlo dietro le quinte per scoprire nei camerini o prima del “Ciak si gira!” cosa succede.
Pensavo che l’apice della bellezza di Brad Pitt si fosse raggiunto in “Vi presento Joe Black” ma le mie certezze hanno vacillato, lo ammetto. Un Brad con “basettoni”, capelli “sale-pepe”, rughe sul volto maturo, giacca di jeans, scarpe indios che interpreta “solo” una controfigura che vive una vita semplice e in modo serafico è ugualmente affascinante. Aggiungeteci che il personaggio che interpreta è uno stuntman completamente indifferente alla grandezza e alla fama, et voilà: “Cliff-Brad” ha un’aria di superiorità veramente sexy.
Al di là della bellezza estetica degli attori e della loro indubbia bravura, questo è il film che tutti quelli che amano il cinema e sanno apprezzare l’umanità dei personaggi – con tutte le fragilità e le vulnerabilità del caso – dovrebbero vedere.