Tatuaggio: arte, moda o reato?

Da arte a reato nel tempo di un volo, ma di moda sicuramente.

Il tatuaggio da sempre divide l’opinione pubblica tra sostenitori e proibizionisti. Attualmente, questa che è divenuta una vera e propria arte, si sta anche trasformando in una moda diffusissima tanto che difficilmente potremo non notare qualche corpo tatuato. Questo almeno in Occidente. Ma le altre culture come la pensano a riguardo?  Inoltre, siamo così sicuri che avere tatuaggi sia ben accetto anche da “noi”?

La storia del tatuaggio ha origini antichissime, sicuramente più di 5 millenni, diffuso presso popoli in ogni angolo della Terra. Alcune caratteristiche non sono mai cambiate: l’uso del tatuaggio a fini puramente estetici o religiosi; come segno di ribellione o segno di appartenenza (riferito a movimenti culturali, malavita, divenire adulti). Non si sono discostate di molto dalle origini nemmeno le critiche. Ad esempio già l’impero romano condannava i tatuaggi perché rendono impuro il corpo, ed era riservato solo per i criminali.

Civiltà indigene delle coste asiatiche del Pacifico e della Nuova Zelanda, come i Maori, i Thaitiani, i Samoani e i popoli del Borneo, hanno da sempre fatto dell’arte di tatuarsi un proprio segno distintivo, dandogli una grande valenza culturale: si tatuano le ragazze che raggiungono la maturità sessuale, i ragazzi che divengono adulti, i guerrieri; ci sono simboli religiosi, spirituali e di distensione familiare e ogni parte del corpo dà un significato diverso ai vari simboli. Non è così altrove, dove il tatuaggio non ha vita facile.

Prendiamo il caso della Corea del Nord e della Corea del Sud, dove non è illegale avere dei tatuaggi, ma è un reato fare il tatuatore, dato che sono considerati pratiche mediche e possono essere effettuati solo da medici. Così i tatuatori in Corea sono costretti a lavorare nascondendosi, rintanandosi in bunker e non affiggendo insegne. In generale, i coreani considerano immorale l’arte dei tattoo, soprattutto se fatti sul corpo di una donna.

Altro Paese che non vede di buon occhio i tattoo è il Giappone, dove molte persone associano i tatuaggi alla Yakuza. Il governo nipponico dichiarò illegale la pratica nel 1870, ma quest’arte continuò a diffondersi nell’ombra e presto finì, appunto, con l’essere adottata dalla mafia giapponese. È da aggiungere che la loro diffusione in questa cultura ha origini di ribellione, usati infatti dai ceti meno abbienti in lotta contro lo Stato che impediva loro di indossare kimono colorati. Oggi mostrare i tatuaggi è considerato un attacco verso la propria terra e una mancanza di rispetto nei confronti dei genitori. Hotel, pensioni e terme vietano addirittura l’accesso a persone tatuate.

La religione islamica proibisce i tattoo poiché definiti impuri da Allah stesso nel Corano… Così in Iran il tatuaggio è visto come un simbolo demoniaco e considerato illegale e a rischiare la prigione, non sono solo i cittadini, ma anche i turisti che non coprono i loro corpi tatuati.  Anche in Turchia i tatuaggi sono vietati per motivi religiosi. Chi è già tatuato deve pentirsi e rimuovere il tatuaggio.

Vi sono poi gli Emirati Arabi, dove il tatuaggio è considerato una forma di autolesionismo e infatti tatuare è un reato. Infine in Thailandia è vietato ai turisti esibire tatuaggi di Budda, considerati offensivi verso la loro religione.

Restando in tema di religione, la Bibbia non vieta esplicitamente i tatuaggi, anche se promuove la purezza del corpo. In Occidente terreno di pregiudizi verso il tattoo sembra essere ancora il settore lavorativo, per lo meno alcuni ambienti.  Vediamo che per l’esercito e forze dell’ordine i tatuaggi ben visibili sono un blocco ancora esistente., oltre ai pregiudizi sociali che rendono difficoltoso assicurarsi un posto in ambienti privati. In generale, è piuttosto comune a tutta la cultura occidentale l’accesso a incarichi che necessitano di contatti con il pubblico per persone tatuate.  Studi al tal proposito li ha condotti il professor Andrew Timming dell’Università di St. Andrews (in Scozia), i cui dati sono riportati dall’Economist. Altra classe di lavoratori fortemente discriminata è il personale di volo, hostess e steward. I tatuaggi sembrano invece dare una marcia in più a dj, artisti e personale di fitness.

Anche se non esistono espliciti divieti, questo tipo di velata discriminazione, è il residuo di pregiudizi sociali vecchi di secoli, che collegano i tatuaggi agli ambienti della malavita e a particolari movimenti culturali/politici di fama negativa.

Rachele Signorini

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