Agota Kristof: “La trilogia della città di K.”

L’anonima città di K., due fratelli, forse uno solo, una nonna crudele, lo sfondo di una guerra che il lettore può solo presumere di conoscere, sono racchiusi all’interno del romano della Kristof e raccontati al lettore attraverso una sapiente e magistrale scrittura discontinua e violenta.


Il Romanzo diviso in tre macro parti: il grande quaderno; la prova e la grande menzogna, è la storia di due gemelli che per sfuggire ai bombardamenti di una ignota guerra, di un ignoto paese, vengono portati via dalla loro madre e consegnati alla loro nonna materna. Il grande quaderno che compone tutta la prima parte del Romanzo si focalizza sulla descrizione della vita dei due giovanissimi ragazzi, continuamente maltrattati e denigrati dalla loro nonna. Abbandonati a loro stessi, inizieranno un’autodidattica formazione per sopportare le violenze del mondo esterno. In lontananza la guerra, beffarda, violenta, perversa e il cinismo di Lucas e Claus, questi i nomi dei due gemelli protagonisti, subirà un effetto elefantiasi man mano che il confronto e il rapporto con il mondo esterno si farà necessario. I personaggi che ruotano nella vita dei fratelli, sono descritti con pochi tratti essenziali e sembrano essere usciti da una pellicola noir: un mondo di violenza sudicia, personaggi con deformità fisiche o mentali come nel caso dell’assurda vicina di casa, soprannominata – labbro leporino – che spinge le sue perversioni fino all’inverosimile. La fredda lucidità con cui la storia è raccontata la rendono a tratti scomoda, insopportabile.

Lo stile descrittivo ricalca la loro filosofia di vita; i capitoli sono brevi, netti, precisi ed essenziali. Il primo libro termina con l’allontanamento dei due fratelli a cui segue la seconda parte, La prova, nella quale lo stile è narrativo viene dalla Kristof completamente stravolto. Mentre la scrittura perde rigidità e mentre i capitoli si fanno via via sempre più fluenti, il senso si dissolve. Il protagonista è Lucas e il focus la ricerca di suo fratello. Esiste realmente suo fratello? Riuscirà mai a ritrovarlo? Nella terza e ultima parte, La Menzogna, l’autrice ci spiazza nuovamente e questa volta il punto di vista della narrazione è quello di Claus ma i dubbi del lettore non vengono chiariti, la trama si fa sempre più intricata e il cerchio non si chiude. Il ruolo del lettore proprio per questa enigmatica caratteristica del libro è fondamentale: il romanzo infatti, si presta ad essere oggetto di più interpretazioni, difficilmente il lettore riesce a tracciare un filo coerente alla trama e quando il romanzo si chiude, le immagini prodotte continuano ad affastellarsi nella mente in cerca della giusta chiave di lettura. Scomoda è la Kristof nella Trilogia della città  di K, che  fa vivere a pieno il lettore quell’atmosfera angosciante di costrizione e di cruda realtà: Un libro, per triste che sia, non può essere triste come una vita. (Claus; La terza menzogna).  Alla fine del libro ciò che più ho amato, ripercorrendone la trama è l’idea della natura salvifica della scrittura: 

Sono convinto, Lucas, che ogni essere umano è nato per scrivere un libro, e per nient’altro. Un libro geniale o un libro mediocre, non importa, ma colui che non scriverà niente è un essere perduto, non ha fatto altro che passare sulla terra senza lasciare traccia.

Questo romanzo è  un grande omaggio alla letteratura sì ma  anche alla storia, le pagine ci offrono una visione storica dolorosa, realistica, nuda e cruda, capace di catturare l’essenza stessa della guerra e sibillino è l’invito della Kristof:

Dimenticherà. La vita è fatta così. I ricordi si attenuano, il dolore diminuisce […] Diminuire, attenuare, l’ho detto, sì, ma non svanire.

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