“Il giardino dei cosacchi” – un’altra immagine di Dostoevskij

Il giornalista e scrittore olandese Jan Brokken ritrae la vita di Fёdor Michajlovič Dostoevskij nel suo periodo siberiano, tra amicizie, passioni e quotidianità.

Quando hai letto e riletto tutti i libri di Dostoevskij, tanto da ricordare il messaggio celato in ogni loro pagina; quando hai approfondito la sua conoscenza attraverso i suoi scritti giornalistici; quando in seguito hai deciso di comprare dei testi critici che riguardavano il suo pensiero, credi quasi che, avendo capito la sua ideologia (ma chi mai può dire che esista un’ideologia univoca in Fёdor Dostoevskij?), tu sia arrivata a conoscere anche l’uomo che era. Invece qualcuno arriva e ti mostra una persona ancora una volta nuova da come te l’eri costruita mentalmente.

Per chi ama uno scrittore in particolare, risulta difficile e fastidioso leggere romanzi in cui lui stesso viene reso personaggio, per mano di altri romanzieri e studiosi, che lo plasmano sulla pagina in base al loro gusto e alla loro interpretazione. Così, leggendo ad esempio “Il maestro di Pietroburgo”, del premio Nobel J. M. Coetzee, potrebbe capitare di restare interdetti, perché il Dostoevskij-personaggio che ne risulta è un uomo controverso, dalla fantasia morbosa e perfino con qualche tendenza subconscia alla perversione. E se è vero che Dostoevskij-uomo è stato davvero un carattere tutt’altro che lineare e sereno, mescolare lui con le sue stesse creazioni letterarie (Coetzee si è ispirato soprattutto a Nikolaj Stavrogin dei Demoni) può creare una sensazione straniante e di disagio.

L’olandese Jan Brokken, invece, ha saputo restituirci un Dostoevskij inedito e inaspettato, e tuttavia vivo e credibile.

La storia del suo “Il giardino dei cosacchi”, edito in Italia da Iperborea nel 2015, tratta degli anni di vita dello scrittore russo trascorsi in confino in Siberia, una volta scontata la detenzione ai lavori forzati. Dostoevskij stesso ci aveva parlato del suo periodo siberiano presso la casa di forza in “Memorie di una casa morta” (BUR 2000), ma poco, se non attraverso le lettere, sapevamo dei suoi anni vissuti come militare prima di ricevere la grazia e tornare a San Pietroburgo.

La ricostruzione di quegli anni viene affrontata da Brokken ricorrendo al carteggio tra lo scrittore e il barone russo Alexander von Wrengel, dal cui punto di vista sono anche narrate le vicende del romanzo.
Il barone, più giovane di Dostoevskij di una decina d’anni e di tendenze liberali, aveva già avuto modo di sentir parlare di lui nel 1849, quando lo scrittore venne arrestato per aver preso parte ad alcune sedute del circolo Petraševskij e condannato a morte per fucilazione. Di più, von Wrangel era presente il giorno dell’esecuzione, e sentì quando, per un crudele scherzo dello zar Nicola I, venne letto il decreto che, già sul patibolo, commutava la pena in detenzione e lavori forzati.

Quando lo ritrovò nel 1854 a Semipalatinsk come soldato a servizio indeterminato, intrecciò con lui una salda amicizia, che aiutò moltissimo lo scrittore a sopravvivere a quell’isolamento in una città lontana dalla civiltà pietroburghese e in una condizione di decadimento sociale.

Brokken ricostruisce quegli anni con l’accortezza di uno studioso, senza per questo inficiare il romanzesco della narrazione: correda di note esplicative le sue pagine, chiarendo e, alcune volte, perfino correggendo le testimonianze lasciate da von Wrengel, confrontandole con quelle della moglie di Dostoevskij, Anna Grigorevna, della figlia Ljubov’, e di biografi esperti; dall’altro lato aggiunge intensità alla narrazione, mescolando la descrizione della vita di ogni giorno nella steppa siberiana alle accese passioni che colgono i due protagonisti del libro: l’amore infelice e tormentato di Dostoevskij per Marija, e quello altrettanto passionale e difficile tra il giovane barone e Katja.

Entrambe donne sposate, in una società sorprendentemente aperta per essere il XIX secolo in una città di provincia, procureranno amarezze ai protagonisti del romanzo: in particolare Fedor Michailovič sposerà Marija, per la quale aveva sviluppato una passione che forse era un abbaglio datogli dalla disperazione, salvo poi essere impedito a vivere un normale matrimonio dalla sua malattia, l’epilessia.

Anche sotto questo aspetto il libro riesce a rilevare una nota biografica poco toccata su Dostoevskij: di questo suo primo amore poco si è parlato, e quasi sempre in termini poco lusinghieri, seguendo le testimonianze della seconda moglie di lui, Anna Grigorevna. Grazie a Brokken, ci viene svelata, seppure un po’ romanzata, la natura dei sentimenti che legavano il celebre scrittore alla sua prima moglie, lo sviluppo della loro relazione e la sua fine.
Un altro aspetto del carattere di Dostoevskij viene fuori proprio dall’analisi del rapporto tra lui e il barone suo amico: quest’ultimo gli ha dato una mano non solo morale, conversando con lui e consigliandolo, aiutandolo con le sue conoscenze ad accorciare la sua condanna ecc.., ma anche economicamente, mantenendolo e prestandogli spesso il denaro che Dostoevskij non riceveva da casa.

Da qui si evince il rapporto così astratto che lo scrittore aveva con i soldi, caratteristica che risalta indirettamente anche dalle pagine dei suoi romanzi. E quando è stato il turno di von Wrengel di trovarsi in ristrettezze e di aver urgente bisogno di aiuto economico, Dostoevskij scomparve, non rispondendo alle sue missive.
Questo fatto potrebbe disturbare chi ha una buona opinione dello scrittore, ma bisogna accettarlo così com’è, probabilmente giustificandolo con i problemi economici che lui stesso aveva in casa, e che lo costrinsero a scappare all’estero.

Insomma, una ricostruzione storica veritiera e vivace allo stesso tempo, che riesce a mostrarci un lato nuovo di uno scrittore che non ha ancora finito, attraverso i suoi romanzi e attraverso la sua vita, di dire quello che aveva da dire.

Maria Chiara DAgostino

Iscriviti alla newsletter settimanale per rimanere aggiornato su tutti i nostri articoli!