“Giovanna d’Arco” al Teatro dell’Opera: recensione del dramma di Giuseppe Verdi

Giovanna d’Arco

Giovanna d’Arco

È andato in scena al Teatro dell’Opera “Giovanna d’Arco”, il dramma in quattro atti di Giuseppe Verdi.

“Giovanna d’Arco” è definita dal compositore, in una lettera indirizzata a Francesco Maria Piave, come “la migliore delle opere senza eccezione e senza dubbio”.

La prima rappresentazione assoluta del dramma si ebbe a Milano al Teatro alla Scala il 18 febbraio 1945 mentre a Roma avvenne il 15 maggio 1972.

Il direttore Daniele Gatti al Teatro dell’Opera ripropone l’opera che nel 1983 fu il suo debutto assoluto al Laboratorio lirico di Alessandria.

La “Giovanna d’Arco” di Daniele Gatti, con la regia e la coreografia di Davide Livermore, è un’opera dall’aspetto scenico molto semplice, poco artificioso, che riesce a condurre lo spettatore in una spirale di parole e musica.

Il dramma segue il tema centrale di quasi tutte le opere di Giuseppe Verdi: il rapporto padre e figlia. Una relazione complessa, controversa e contraddittoria.

Il compositore riesce a narrare non solo il rapporto filiale con il genitore ma soprattutto l’ambivalenza tra male e bene: la dicotomia attraversa Giovanna e la donna rappresenta essa stessa la duplicità.

Contadina ingenua, guerriera indomita e donna: la scissione tra anima e corpo, desiderio e santità induce la fanciulla a dubitare, ad auto – infliggersi la colpevolezza dei suoi sentimenti e a rinunciare alla sua vita.

Le due figure maschili principali, re Carlo VII e Giacomo, pur se differenti, appaiono parvenza di corporeità rispetto all’animo intrepido della fanciulla.

“Qui! qui!… dove più s’apre
Libero il cielo, e l’aere puro aleggia.
Nella festante reggia
Svania la mente! – Le mie fibre scuote
Un senso, un turbamento,
Che interrogar pavento. –
Gravi m’eran gli applausi. – Oh! ma compiuto
Non è l’incarco? – Salve
Non son le franche arene?…
Perché rimango or qui?… chi mi trattiene?…
O fatidica foresta,
O mio padre, o mia capanna,
Nella semplice sua vesta
Tornerà  tra voi Giovanna;
Deh ridatele i contenti
Che più l’alma non sentì!”

Il misticismo, le pulsazioni e il desiderio di battaglia di Giovanna sono rappresentati visivamente attraverso il grande “occhio” al centro del palcoscenico. Il mondo interiore si manifesta, anche, attraverso la doppia presenza della donna: la prima ballerina Susanna Salvi in vesti velate porta in scena la tensione perenne che vive la protagonista, il suo doppio che emerge.

“Oh perché sui campi in guerra
Non versai quest’alma impura?…
Chi m’adduce a ignota terra
Ov’io celi il mio rossor?
Ma, se ad anima pentita
Valga il pianto e la sventura,
Ogni giorno di mia vita
Sia pur giorno di dolor!”

La circolarità della scena suggerisce un tempo “altro”: una dimensione non prettamente terrena ma in grado di andare oltre e attraverso i tempi e i luoghi.

Il coro, come osservatore esterno, vive la storia, guardando e giudicando le azioni degli uomini.

I costumi in chiave moderna ripropongono la classicità degli abiti medievali. La troppa semplicità della messinscena, tuttavia, può divenire un limite nella rappresentazione, non consentendo pienamente di sviscerare la potenza emotiva e intrinseca della storia.

MAESTRO DEL CORO ROBERTO GABBIANI 

SCENE GIÒ FORMA

COSTUMI ANNA VERDE

LUCI ANTONIO CASTRO

VIDEO D-WOK

Principali interpreti 

GIOVANNA NINO MACHAIDZE 

CARLO VII FRANCESCO MELI 

GIACOMO ROBERTO FRONTALI 

TALBOT DMITRY BELOSELSKIY 

DELIL LEONARDO TRINCIARELLI

ORCHESTRA, CORO E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA 

Nuovo allestimento Teatro dell’Opera di Roma
con elementi scenici del Palau de les Arts Reina Sofía, Valencia

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