“La guerra in mascherina”: il Natale della privazione

Foto di David Taglieri.

È evidente che stiamo combattendo una guerra: sicuramente siamo più attrezzati a livello di modernità e tecnologia e allo stesso modo non rischiamo la vita uscendo di casa sotto i mitra e le bombe, l’unica accortezza è quella di mantenere le distanze, lavarsi spesso le mani e utilizzare le mascherine. Poi la componente di rischio esiste sempre razionalmente e statisticamente, e questo in un certo senso fa parte della vita.

Sarà un Natale differente, probabilmente chi vuole andare alla ricerca di un senso tenterà di scovare un significato di pienezza e profondità. Ed è giusto che sia così. Come è legittimo abbandonarsi laicamente al corso degli eventi tentando il più possibile di essere aderenti ai dettami in tema di prevenzione.

Molti virologi in questi giorni hanno messo sull’avviso le persone: l’imperativo categorico ed essenziale è non rilassarsi troppo, ebbene sì il verbo è proprio questo. Tante persone hanno accolto la notizia del vaccino, disponibile in poche dosi a gennaio, come un’incitazione al rilassamento: e invece come già detto in passato è innegabile che si inizia a vedere una prospettiva, ma questo non vuol dire essere fuori dal tunnel, la metropolitana delle nostre paure, del periodo oscuro che stiamo attraversando, ha tante stazioni e non si puo’ scendere prima del capolinea.

I tempi saranno lunghi e anche i media devono fare la loro parte, evitando di illudere, e di innalzare l’asticella della depressione.

Ha ragione Alessandro Milan che sul Quotidiano Nazionale stigmatizza la spettacolarizzazione della medicina, con i virologi iperpresenti, che, a nostro modo di vedere, parlano per pochi minuti, ripetendo concetti assodati e reiterati. Una sorta di coazione a ripetere.

I tempi televisivi poi non aiutano, ritmati, alla ricerca della quantità della velocità e dello scoop.

Si riallaccia a queste riflessioni un articolo di Giordano Bruno Guerri di questi giorni su Il Giornale, il quale si dice preoccupato che l’affievolimento delle tradizioni, in un’epoca caratterizzata dall’attenzione sanitaria, stia trasformando in situazioni non essenziali delle branche del sapere umano che ci elevano.

La fede, l’arte, il teatro e via dicendo: i presepi quest’anno subiranno un’inevitabile ridimensionamento. E anche la via telematica che poteva sembrare salvifica per coltivare i rapporti sociali in questo intervallo temporale lungo, melanconico e a tratti insopportabile, inizia ad annoiare.

I colori, crediamo, son più sbiaditi, non si individuano le sfumature cromatiche e non sentiamo più gli odori, di qualsivoglia tipo: manca soprattutto la percezione tattile, il tatto, il contatto.

Sarà un Natale di privazioni, di privazioni di vite precedenti e di esistenze che dovranno connettersi con nuove modalità di festeggiamento, anche se questa parola suona come una bestemmia se pensiamo alle persone che muoiono da sole in questi terribili mesi.

Dobbiamo puntare alla ricerca di una tenue serenità che ci faccia riconsiderare i veri valori della vita, senza deprimerci e senza rilassarci troppo.

Ci mancano tanto la socialità e l’affetto, e sappiamo allo stesso tempo che se vogliamo riconquistare il mondo di prima, seppur modificato, dobbiamo adattarci al mondo attuale.

E speriamo presto che i ritrovi in rete restino un lontano e vicino ricordo e che la metro arrivi a destinazione…

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