La vicenda di Silvia Romano: dalla prigionia di Al-Shabaab alla prigionia in casa.

prigionia

Silvia Romano è finalmente libera: il 10 maggio l’aereo dei servizi segreti italiani (Aise) è atterrato a Roma portando la cooperante milanese in salvo dopo 18 mesi di prigionia nelle mani del gruppo terroristico Al-Shabaab, affiliato ad Al-Qāʿida.

Le prime parole di Silvia sono state poche, ma chiare e dirette: sto bene, fisicamente e psicologicamente. Tuttavia, il suo ritorno non giova alla psicologia di molti italiani: tante sono state le accuse assurde, da una presunta gravidanza, alla sindrome di Stoccolma, alla conversione forzata all’Islam e alla cooperazione con Al-Shabaab. Inoltre, la notizia che Silvia possa essere tornata a casa grazie ad un riscatto ha letteralmente scatenato l’inferno sui social, tanto che diversi profili di Silvia sono stati chiusi e la sua casa a Milano è sotto sorveglianza.

Dalla prigionia di Al-Shabaab alla prigionia in casa propria, temendo per la sua incolumità e quella della sua famiglia.

Stupisce come gli italiani si scandalizzino per i presunti 4 milioni di euro pagati per la sua liberazione: in uno Stato dove decine e decine di milioni di euro vengono letteralmente sprecati o ancora peggio spariscono, non vedo perché scandalizzarsi per una somma, come giustamente puntualizzato da Alessandro Sallusti, spesa bene.

Capisco di più la polemica riguardo al pagare un riscatto a dei terroristi che, molto probabilmente, utilizzeranno il denaro per allargare la propria rete di contatti nel Corno d’Africa, per armarsi e per reclutare giovani fanatici. Tuttavia, la crisi economica attuale che vige in Italia non è colpa di Silvia Romano, la precarietà del lavoro in Italia non è colpa di Silvia Romano, gli sprechi della politica non sono colpa di Silvia Romano. Piuttosto, dobbiamo analizzare se vi siano colpe nella Onlus che ha mandato in un territorio problematico una civile senza alcuna, presunta, esperienza né inquadramento mirato, se vi siano colpe nel governo del Kenya che, forse, autorizza personale civile straniero ad andare in territori a rischio senza un’adeguata sorveglianza militare e se vi siano colpe nello Stato italiano per non aver controllato come la Onlus gestiva i suoi volontari e dove li mandava. Perché il desiderio di Silvia di aiutare l’Africa non è qualcosa che si può spiegare: o ce l’hai nel sangue, o non ce l’hai.

Per quanto riguarda le polemiche sulla sua conversione e sul fatto di essere stata trattata bene durante la prigionia, posso aggiungere che l’Italia è un Paese laico, i musulmani non sono tutti terroristi (sarebbe come dire che gli italiani sono tutti mafiosi) e che per Al-Shabaab Silvia era una fonte di guadagno, era preziosa, dunque, trattarla bene era la migliore garanzia per farsi pagare.

Mi auguro che venga fatta un’inchiesta sulle modalità della Onlus di selezione e inquadramento del personale, mi auguro che il gruppo Al-Shabaab venga monitorato dai nostri servizi segreti e mi auguro che Silvia venga lasciata in pace a godersi la sua famiglia e la sua libertà.

Martina Seppi

Immagine: Foto di Free-Photos da Pixabay

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