L’America grande di nuovo: la promessa infranta di Donald Trump.

Questa era la promessa di Donald Trump al suo elettorato, o meglio al suo popolo: far tornare gli Stati Uniti all’antico splendore perso durante gli anni di incompetenza di Barack Obama, ridare lustro alla bandiera americana come potenza economica e militare mondiale e occuparsi di più degli interessi americani rispetto a interessi, obblighi, trattati con altri Paesi.

Un mix di protezionismo, patriottismo e razzismo.

Trump non sembra preoccupato per la morte sospetta del 46enne afroamericano George Floyd, probabilmente ucciso dal poliziotto bianco Derek Chauvin. Nonostante l’autopsia non abbia collegato la morte di George al comportamento di Chauvin, la famiglia della vittima insiste per avere un altro parere. George è stato tenuto fermo a terra, schiacciato dal ginocchio di Chauvin a fargli pressione sul collo, nonostante George si lamentasse di non riuscire a respirare e, una volta liberato, avesse più volte affermato che aveva male dappertutto.

L’incidente è avvenuto durante una serie di proteste che anche in queste ore stanno scuotendo gli Stati Uniti da est a ovest, da nord a sud, adesso, più violente dopo l’ennesimo caso di morte di un cittadino di colore per mano di un poliziotto bianco. E Trump non sembra preoccupato da questo incidente, come non appare essere preoccupato che la maggior parte delle vittime del Covid-19 in America siano cittadini afroamericani e latini, spesso i più vulnerabili perché non riescono a permettersi assicurazioni sanitarie tali da garantirsi le cure quando servono, più vulnerabili perché impiegati in settori a bassa istruzione, bassa paga e più a contatto con la gente, più vulnerabili perché ricoprono quelle posizioni lavorative più a rischio di licenziamento.

Se, infatti, da una parte l’America bianca spinge per le riaperture degli esercizi commerciali e delle attività economiche per salvaguardare la crescita del Paese, dall’altra l’America nera e latina chiede di non abbassare la guardia: i contagi in America sono a quota 1.8 milioni, con più di 100.000 morti (più della guerra del Vietnam) e con un tasso di disoccupazione del 15% (il più altro dagli anni 30 dopo la Grande Depressione). Ma neanche di questo Trump sembra preoccuparsi; è molto più importante attaccare i colossi dei social media come Twitter con l’accusa di violazione di libertà di espressione, è molto più importante fare una guerra fredda contro la Cina per la corsa ai vaccini, per la supremazia economica, lanciando accuse di aver creato il Covid-19 in laboratorio. Insomma è più importante giocare a fare il duro che agire come Presidente, è più importante infierire contro la stampa (un elemento imprescindibile di libertà democratica di un Paese), dato che il Presidente gradisce parlare solo con pochi giornalisti eletti.

Dov’è la promessa di un’America grande? Grande per chi? Il 2020 sarà ricordato come uno degli anni più bui della storia degli Stati Uniti e come l’anno della prima pandemia mondiale diffusasi a macchia di leopardo e ad una velocità impressionante. E non è ancora finita.

Martina Seppi

Immagine: Foto di Gerd Altmann da Pixabay

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