Quando abbiamo imparato a vivere

In tempo di quarantena e in una dimensione di solitudine obbligata, mentre gli spazi e i tempi si slabbrano, il pensiero ha la libertà di fluire.  Forse è così che persino una condizione tragica può trasformarsi in un’occasione.

Abbiamo imparato a vivere, quando abbiamo iniziato a rischiare. Non abbiamo avuto i nostri uffici in cui abnegare il dolore nella bugia della voracità. Non abbiamo occupato le nostre palestre in cui giocare di movimenti e scariche emotive, per uscire scevri dal pensiero. Non abbiamo calcato i teatri in cui darci, protetti dalla spettacolarità di spazi e luci soffuse per essere veri.

Abbiamo avuto invece il computer dello smart-working sulla scrivania su cui facevamo i compiti, una call importante con in sottofondo la voce di mamma, la vita di tanti uomini sul divano della camera da pranzo e la sofferenza di troppi altri sul tavolo della cucina.

Abbiamo rotto. Tutto. Distanze, dimensioni, scadenze, collegamenti, vicinanze ed effusioni. Ma abbiamo parlato, tanto. Abbiamo sognato insieme il mondo che scorre fuori dalla finestra e si infila tra le grate per portarci il respiro. Abbiamo desiderato la sabbia su cui costruivamo castelli, tronchi su cui adagiavamo la schiena, neve con cui ci bagnavamo le mani, distese di fiori in cui affondavamo e poi i piedi nel fango, le gambe dentro l’acqua, l’erba sopra i vestiti. Abbiamo bramato di miscelarci al creato, non in un delirio di onnipotenza, ma nell’apprensione della fragilità. E lo abbiamo detestato per quella imperturbabilità solitaria e folle emotività. Senza di noi.

Abbiamo capito cosa sia una foglia trascinata dal vento e un girasole senza il sole, una spiga di grano in tempesta e un soffione dentro l’alito del Maestrale. Abbiamo avuto una nevrotica affezione ai numeri della paura e a quelli della speranza. Ci siamo accarezzati con le parole e abbracciati con il tono della voce. Abbiamo chiuso le chiese e pregato la notte. E mentre uomini come noi la perdevano, ci siamo innamorati follemente della vita.

Non smettiamo mai più. Non permettiamo si dimentichi e non concediamoci di dimenticare. Arrabbiamoci di meno e perdoniamoci spesso. Stringiamoci nel dolore e compartecipiamo alla gioia altrui. Amiamoci fino a tarda notte e a ciascun risveglio. Accarezziamo la terra che ci ha nutrito, i medici che ci hanno accudito, gli affetti che ci hanno accompagnato. Ricordiamoci che non siamo in una gara e che nulla è per sempre. E per sempre diamoci completamente al momento che stiamo vivendo e all’abbraccio in cui ci stiamo stringendo, perché senza gli altri corpi, senza le altre anime, senza i mari, la terra, i frutti, i colori, i profumi, noi non saremmo nulla. La vita è un privilegio pazzesco. Abbiamone cura. Non risparmiamoci!

 

Immagine: Foto di StockSnap da Pixabay

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