Lost in translation

Ne discutevo oggi con mio padre: da qualche anno a questa parte, i giornali italiani si stanno riempiendo di anglicismi, ossia parole inglesi che sostituiscono quelle italiane nonostante la nostra lingua abbia gli esatti corrispettivi.

Se da una parte questo tipo di scrittura sia inevitabile come per esempio nel settore tecnologico (chi mai parlerebbe di “calcolatore” invece del computer o di “telefono intelligente” al posto di smartphone?) e per certi versi anche nel settore economico, certi anglicismi ricorrono anche dove non ce ne sarebbe la necessità: si parla di “smart city”, di stile di vita “green”, di moda “easy” e di tycoon al posto di miliardario.

Io lavoro come linguista, quindi ho un’innata passione per le lingue straniere perché legate a delle culture straniere di cui spesso conosciamo solo la punta e ignoriamo l’iceberg, tuttavia questo ricorso pesante ad anglicismi a volte al caso, rivelano la mania di imitare e stare al passo con le tendenze dell’estero, senza curarsi della vera conoscenza della lingua straniera.

In pratica, leggiamo tutti i giorni parole di cui non conosciamo il significato, senza contare il fatto che l’Italia è uno degli ultimi Paesi europei in classifica per conoscenza delle lingue straniere, soprattutto di quella inglese. È infatti curioso come l’Italia si sia buttata sulle lingue del futuro mercato come il cinese e il russo ma sia ancora indietro con la lingua chiave per girare il mondo e fare affari: l’inglese.

Perciò, da una parte si ostenta una conoscenza linguistica che non si ha cercando di riempire articoli e inserti pubblicitari con parole inglesi perché sono parte del mercato e sono ad effetto, dall’altra la conoscenza media dell’inglese è pressoché nulla, ad eccezion fatta di hotel, ristoranti e negozi in località turistiche. Va benissimo abituare l’orecchio e la vista a parole straniere se però serve come rinforzo all’apprendimento della lingua.

Mi ricordo che il Corriere della Sera aveva dedicato un lungo articolo e anche un test d’inglese firmato Beppe Severgnini proprio per esplicare questa dicotomia italiana. Purtroppo, non è ancora passato il messaggio che imparare una qualsiasi lingua straniera, in particolare l’inglese, abbia solo benefici e nessuna controindicazione.

C’è chi ha più predisposizione per l’apprendimento delle lingue questo è vero, ma mi piace sempre pensare che volere sia potere e che con impegno e costanza si possono raggiungere risultati soddisfacenti. Quindi basta provarci, o meglio just try.

Martina Seppi

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