“Enaiat, l’incredibile storia”: un viaggio durato 8 anni dall’Afghanistan all’Italia

Enaiat l’incredibile storia

Ci sono vicende che meritano attenzione, riflessione e impegno: “Enaiat, l’incredibile storia” è una di queste.

Il film, un esperimento ibrido tra teatro e cinema, è scritto e diretto da Patrizia Schiavo, liberamente tratto dal libro di Fabio Geda Nel mare ci sono i coccodrilli.

L’opera racconta la storia vera di Enaiatollah Akbari e del suo viaggio durato otto anni dall’Afghanistan all’Italia.

Enaiatollah oggi vive a Torino dove ha completato gli studi e ha trovato lavoro presso una multinazionale che di occupa di ricerca ma questo “lieto fine” è solo la conclusione di anni di dolore, sofferenza, solitudine e lontananza dalla sua famiglia.

Il viso illuminato da un solare sorriso, la tempra forte di chi non arrende e una forza d’animo che appare a tratti insostenibile: questo è Enaiatollah Akbari dopo il viaggio “impossibile” che ha portato a compimento.

“Enaiat, l’incredibile storia” è stato girato interamente negli spazi di TeatroCittà, “un esperimento che ha segnato la nostra resistenza e resilienza”, con queste parole Patrizia Schiavo narra la genesi di una narrazione avvenuta nelle mura di un teatro, con pochi mezzi economici ma con il vivo desiderio di raccontare una storia che deve essere tramandata.

Patrocinato da Amnesty International il film inizia con la visione dell’amore di Enaiat nei confronti della sua Terra, l’Afghanistan “nel mio Paese c’erano le mele, le stelle, la luna”.

L’arrivo dei talebani colpisce la vita di una famiglia che si scopre fragile e in balia dell’odio umano: il padre di Enaiat muore quando il bambino ha solo 6 anni, così come il suo maestro, colpevole di non volere chiudere la scuola in cui insegna.

Un’esistenza di ricatti e dolore è quella che si prospetta alla famiglia del bambino finché la madre (Patrizia Schiavo) prende una decisione impossibile da comprendere appieno se non si vive tutta quella paura e quella sofferenza: lasciare Enaiat da solo per fargli trovare la salvezza lontano dalla sua Terra.

“Il buio è sabbia per i talebani”: all’età di 10 anni il bambino affronta con la madre un viaggio che lo porterà lontano, molto lontano dalla sua famiglia. La donna lo lascia in Pakistan al suo destino con tre semplici insegnamenti: non usare droghe, non usare armi, non rubare.

Enaiat si scopre solo e smarrito in balia di un mondo troppo crudele per un semplice ragazzino: Harim (Eugenio Marinelli), proprietario del luogo in cui ha dormito con la madre, sembra essere il solo disposto ad aiutare il protagonista, anche se non farà altro che sfruttarlo.

Enaiat trascorre i primi tempi lavorando per Harim ma si accorge ben presto che non ricevendo soldi non potrà mai allontanarsi da quel territorio per trovare la sua strada.

“Un desiderio bisogna sempre averlo davanti agli occhi perché è nel tentativo di soddisfare i nostri desideri che troviamo la forza di rialzarci”.

Il desiderio della scuola, di un istruzione è sempre vivo in Enaiat: osservando i bambini al suono della campanella ripensa ai suoi amici e ai tempi lontani in cui la felicità era semplice.

La rabbia inizia ad emergere dalle viscere del bambino: picchiato, derubato, preso a calci per la sua discendenza. Insieme all’amico Sufi (Jacopo Mauriello) decide, quindi, di andare via per trovare la speranza di una nuova esistenza.

L’Iran è la destinazione finale dove si dice che le condizioni di vita siano migliori ma entrambi gli amici, senza i soldi necessari per andare via, si troveranno costretti a lavorare in un cantiere per ripagare il debito. Ancora sofferenza e sfruttamento subirà Enaiat finché non deciderà di andare altrove, ancora più lontano, in Turchia e poi in Grecia per giungere dopo 8 anni dall’inizio di quel viaggio in Italia e ritrovare, forse, la sua esistenza.

“Enaiat, l’incredibile storia” è un’opera semplice nella realizzazione ma complessa nella sua narrazione: raccontare una vicenda così sofferta e riuscire a renderla delicata pur se permeata di sofferenza è incredibile. Stupefacente è l’interpretazione di Antonio De Stefano che riesce a dare vita a un bambino, restituendogli la genuinità e il candore.

Un plauso va anche all’interpretazione di Paolo Madonna che dà vita a differenti personaggi all’interno del film con credibilità, interpretando il commerciante che offre un lavoro nel bazar a Enaiat e il trafficante di uomini che lo porta fino all’Iran.

Il film è stato realizzato in collaborazione con Regione Lazio e curato nella sua veste cinematografica da Persico Film.

 

Immagini fornite dall’ufficio stampa Carlo D’Acquisto

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