Venezia 77 – “La verità su La dolce vita” di Giuseppe Pedersoli: recensione del documentario fuori concorso alla Biennale Cinema 2020

La verità su La dolce vita

Regia: Giuseppe Pedersoli
Produzione: Arietta Cinematografica (Gaia Gorrini, Giuseppe Pedersoli)
Durata: 83’
Lingua: Italiano
Paesi: Italia
Interpreti: Luigi Petrucci, Mario Sesti
Sceneggiatura: Giuseppe Pedersoli, Giorgio Serafini
Fotografia: Renato de Blasio, Maurizio Calvesi, Giovanni Brescini
Montaggio: Giuseppe Pedersoli
Musica: Marco Marrone
Suono: Enrico Pellegrini

Fuori concorso nella 77^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il documentario “La verità su La dolce vita” del regista Giuseppe Pedersoli.

A sessant’anni dalla sua produzione e nel centenario di Federico Fellini, l’opera racconta i retroscena di uno dei capolavori italiani, divenuto “storia del cinema”.

“La verità su La dolce vita”, basandosi sulla fitta corrispondenza tra Giuseppe Amato, Angelo Rizzoli e Federico Fellini, rispettivamente produttore, distributore e regista, riesce con veridicità a narrare“una storia dentro la storia”, ovvero il contorno non sfumato della creazione dell’opera felliniana.

Il documentario incomincia con il pellegrinaggio del produttore Giuseppe Amato al santuario di San Giovanni Rotondo dove vuole ottenere la benedizione di Padre Pio per iniziare a dedicarsi a La dolce vita.

I diritti sul film, a quel tempo, erano in mano al produttore Dino De Laurentis che aveva firmato con Fellini un contratto in esclusiva; Amato, che era riuscito a leggere il copione dell’opera, si innamorò immediatamente della sceneggiatura, convinto che potesse essere un successo cinematografico. Induce, quindi, il 20 ottobre 1958, De Laurentis a cedergli i diritti del film in cambio di quelli de “La grande guerra”.

Angelo Rizzoli, distributore e grande amico di D’Amato, non è convinto della sceneggiatura ma accetta di prendere parte al progetto per l’affetto che lo lega al produttore.

Rizzoli così come De Laurentis crede, infatti, che il film non abbia le caratteristiche per essere apprezzato dal pubblico e dalla critica.

In un connubio tra testimonianze dirette, filmati, immagini d’epoca, scene ricostruite e letture si raffigura la storia di come La dolce vita divenne un’icona del cinema italiano.

Le riprese incominciarono negli studi di Cinecittà, divenuti riproduzione di Via Veneto, il 16 marzo 1959.

“Questa è come una nave in tempesta”.

Dopo 14 settimane di riprese la situazione inizia, tuttavia, a precipitare: Fellini ha già speso 630 milioni e l’opera non è ancora finita.

La dolce vita diventa il film più costoso prodotto in Italia, nonostante il regista si fosse impegnato, inizialmente, a non spendere più di 400 milioni. L’opera costerà il doppio e sarà la causa della rottura tra D’Amato e Rizzoli.

La musica accompagna, nel documentario, il baratro sempre più vicino, anche a causa del metraggio troppo elevato. Il film, infatti, dura 4 ore: un’estensione troppo alta per i distributori stranieri. È necessario, quindi, che il regista tagli alcune scene.

Ad aggravare la situazione molto precaria è, anche, il carattere di Fellini, che dichiara di volere essere lasciato tranquillo mentre lavora.

“Sono 6 mesi che lavori in pace togliendola agli altri e in particolare a me”: queste le parole che D’Amato rivolge al regista per esprimere il suo stato d’animo, sempre più agitato. I debiti, infatti, si sono infittiti, Rizzoli vuole che gli venga restituito una parte del denaro e si corre il rischio che il film non esca nelle sale italiane a causa del ritardo con cui Fellini sta diminuendo il metraggio.

Quando La Dolce vita esce, finalmente, in Italia riceve un’accoglienza negativa dalla stampa e dalla società cattolica, divenendo, anche, oggetto di interrogazioni parlamentari per impedirne la distribuzione.

Solo grazie al pubblico ottiene il successo: l’accoglienza da parte degli spettatori, non solo in Italia, ma in Francia e nel resto del mondo, consentì a La Dolce Vita di divenire un simbolo del cinema italiano.

Bertolucci parlando del film dichiarò: “la creazione di un mondo dal nulla mi ha spinto a passare dalla poesia al cinema.”

Il documentario riesce a raccontare non solo la storia de La Dolce Vita ma anche la figura di D’Amato nella sua interezza. Il produttore, infatti, appare ardito e in grado di inseguire un ideale a discapito del pensiero comune. Peppino, infatti, che nasce come attore di film muti per poi divenire produttore, appare un’artista piuttosto che un uomo d’affari.

In un epoca in cui i sogni apparivano, forse, realizzabili, La Dolce Vita rappresentò l’anelito, l’illusione da raggiungere.

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