“Il campo dei cigni” di Marina Cvetaeva

I pensieri in versi di Maria Cvetaeva sulla Rivoluzione d’Ottobre e sulla sua Russia.

Nell’anno del centenario della rivoluzione d’Ottobre si sono succedute, in Italia come nel resto del mondo, pubblicazioni e approfondimenti televisivi su questo argomento che, indipendentemente dal credo politico, ha segnato l’inizio di una nuova fase della Storia.

Tra le varie opere riscoperte o approfondite c’è un piccolo volumetto della casa editrice Nottetempo: si tratta de Il campo dei cigni di Marina Cvetaeva, una sorta di diario in versi scritto a ridosso della Rivoluzione e negli anni immediatamente successivi.
Ma chi era Marina Cvetaeva?

Forse per lo più sconosciuta al pubblico italiano non interessato alla poesia, la Cvetaeva è stata una delle voci più autorevoli della Russia, e, come moltissimi suoi colleghi letterati, ha vissuto il dramma dell’emigrazione e il rifiuto della pubblicazione delle sue opere in patria. Inoltre ha condiviso il destino terribile di molti suoi connazionali, avendo perso una figlia durante i difficilissimi anni della guerra civile (che si prolungò fino al 1922), e rimanendo lontana dal marito, senza sapere praticamente niente della sua sorte, per quattro anni.

La sua esperienza e le sue convinzioni politiche l’hanno spinta sempre a osteggiare il partito bolscevico e la Rivoluzione, cosa che si nota fin dal rifiuto di adottare il nuovo sistema di datazione e l’alfabeto semplificato imposti dal nuovo regime.

Questo suo attaccamento alla Russia del passato si ritrova tutto ne Il campo dei cigni, in cui, con la sua poesia così unica e difficilmente ascrivibile a una corrente letteraria, ripercorre le vicende degli anni dal 1917 al 1920: troviamo così un appello affinché non venga ucciso il giovane erede al trono Aleksej, innocente di fronte alle colpe del padre; dei versi dedicati a Kornilov, generale cosacco dell’esercito zarista, in seguito dell’Armata Bianca; poesie scritte nei giorni della Pasqua 1918, dalle quali traspare tutto lo sgomento della poetessa e del popolo nel non poter varcare le mura del Cremlino per assistere al rito sacro e alla benedizione.

Come suggerisce Caterina Graziadei, curatrice del libro, il tempo è scandito precisamente dalle poesie di questa raccolta-diario, sempre accuratamente datate, a volte con riferimento a feste liturgiche: un modo per ancorarsi alla sicurezza dell’antica Russia, di fronte a una rivoluzione che tutto spazza via.

In questo senso, occorre notare come queste poesie rechino moltissimi riferimenti alle vicende della storia russa: da Dmitrij di Uglič, figlio di Ivan il Terribile la cui morte, avvenuta in circostanze misteriose, ha portato grandi disordini nel Paese, a Pietro il Grande, alle vicende che hanno interessato Mosca, tornando indietro fino alla storia del principe Igor, governante ed eroe quasi mitico della Rus’ di Kiev.

Griška il furfante non ti ha impolacchita,
Zar-Pietro non ti ha intedeschita.
Che fai, animuccia mia? – Piango.
Dov’è la tua boria, Mosca? – Ben lungi.

-Dove sono i tuoi piccioncini? – Cibo non ho.
-Chi lo ha rubato? – Il corvo nero.
-Dove sono le tue sacre croci? – Abbattute.
-Dove i tuoi figli, Mosca? -Tutti caduti.

10 dicembre 1917 (da “A Mosca”)

La storia antica rivive nelle vicende contemporanee, in un processo di assimilazione che accosta l’epoca dei Torbidi agli anni della guerra civile, i due usurpatori falsi Dmitrij al susseguirsi di Kerenskij, Kornilov e Vrangel’; il furore rosso alla rivoluzione giacobina e alle rivolte di Pugacev e Stenka Razin’.

Chiudono la raccolta i versi dedicati al pianto di Jaroslavna, sposa del già citato Igor. Qui però avviene un ribaltamento: se, come ci narra il cantare delle gesta di Igor, il principe tornerà a casa dalla guerra contro le popolazioni nemiche e il pianto della sposa sarà sedato, qui invece nessuno tornerà, la morte è certa. Marina Cvetaeva stessa, sentendosi come Jaroslavna, canta la sua disperazione, in un componimento che è tra i più duri e disperati:

Inginòcchiati a terra – e tutta la terra
Sarà un inno di giubilio.
È la Rus’, Igor, che piange nell’oltre-
mare con Jaroslavna.

La pena si strugge in triste lamento:
-Fratello mio! Mio principe! Figlio mio!
-Buon anno a te, giovane Rus’
di là dall’azzurro mare!

Mosca 31 dicembre (russo) 1920

Il volume è fornito di testo russo a fronte, un apparato di note ben curate, che spiegano tutti i riferimenti storici e biografici presenti nelle poesie, nonché di una bellissima postfazione in cui il lettore viene informato non solo del contenuto dell’opera, ma anche dei suoi effetti musicali, delle reminiscenze letterarie che hanno influenzato la poetessa, dei continui riferimenti cromatici presenti nel testo.

 

Maria Chiara DAgostino

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